REGGIO CALABRIA «Dopo cinque anni di indagine e dopo la pubblicazione di ogni genere di atto coperto da segreto istruttorio mi sarei aspettato dal rappresentante della polizia provinciale (la polizia giudiziaria scelta per indagare su di me) una maggiore cura nella ricerca della verità dei fatti, rigore nelle deduzioni e soprattutto che si seguisse un filo fattuale e giuridico corretto». È quanto sostiene l’ex consigliere regionale Demetrio Naccari Carlizzi al termine dell’udienza del processo che lo vede imputato in concorso perché accusato aver effettuato pressioni sui vertici dell’assessorato regionale alla Sanità per ottenere la nomina di una persona ritenuta amica nella commissione esaminatrice del concorso cui avrebbe partecipato la moglie, la dottoressa Valeria Falcomatà. Per il politico invece «purtroppo abbiamo ascoltato una congerie di impressioni personali quanto – a mio avviso – infondate, fraintendimenti e travisamenti temporali e anche gravi inesattezze nella ricostruzione dei fatti, per non dire altro. Devo quindi costatare, come evidenziato dai primi contro esami svolti dalle difese, che dalla enfasi della attività di indagine, la verifica dibattimentale conferisce evanescenza al dato investigativo». Tuttavia Naccari si dice «convinto che tutti i fatti e le norme utili alla difesa e alla verità sostanzialmente, così come oggi emerso dalla audizione del teste di P.G., censurate dalla ripetitiva cantilena del “non erano oggetto dell’indagine”, saranno posti nella giusta evidenza in sede di controesame, grazie ad un confronto sereno ed obbiettivo, certamente utile a tutti e, non ultimo, alla ricerca della verità nella formazione della prova».
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