Gli affari delle 'ndrine nel crac del Parma Calcio
REGGIO CALABRIA Sono Ilario Ventrice e Michele Fidale gli uomini delle ‘ndrine finiti nella rete degli investigatori che hanno svelato le oscure manovre finanziarie che si celavano dietro il fallimen…

REGGIO CALABRIA Sono Ilario Ventrice e Michele Fidale gli uomini delle ‘ndrine finiti nella rete degli investigatori che hanno svelato le oscure manovre finanziarie che si celavano dietro il fallimento del Parma calcio, trasformato dal patron Manenti in un grande affare criminale. Un filone secondario dell’operazione che per lui ha fatto scattare le manette ha svelato infatti che il medesimo gruppo di hacker che ha permesso a Manenti di riciclare un’ingente mole di capitali illeciti, era al servizio di uomini direttamente riconducibili alla ‘ndrangheta calabrese. Condannato per associazione mafiosa negli anni 90, quindi per sequestro di persona, estorsione, rapina e armi, Ventrice è uno dei cosiddetti “contatti collaterali” di cui il gruppo di hacker al servizio del patron del Parma si serve per fare girare il denaro. Insieme a lui opera un altro calabrese, Michele Fidale arrestato nel 2011 per associazione finalizzata al riciclaggio di titoli e certificati di deposito di provenienza illecita, gestita in collaborazione con noti personaggi delle ‘ndrine. E sono loro a fornire agli hacker l’istituto di credito e il bank officer necessari per mettere a punto l’incursione informatica nei server di una banca svizzera che permetteranno ai pirati informatici di trasferire 5 milioni di euro ad una società spagnola di copertura, la Digital Totem, anche questa individuata grazie ai calabresi. Ma di spagnolo la società ha poco più che il nome e la residenza, perché in realtà è riconducibile al commercialista grossetano Guido Tori. Le trattative fra i calabresi e gli hacker filano lisce, l’incursione va a buon fine, ma poi il meccanismo si inceppa.
Secondo gli accordi, al gruppo dei pirati informatici dovrebbero andare 2,5 milioni di euro per i loro “servizi”, ma il bonifico della somma non arriva. Passano i giorni, diventano settimane, e il nervosismo – annotano gli inquirenti ascoltando le conversazioni fra Rodolfo Cernuto e Michele Fidale – cresce. Cernuto è imbestialito, vuole i suoi soldi e li vuole presto. “Voglio che viene fatto quello che deve essere fatto e se domani mattina entro le dieci non mi arriva quello che mi deve arrivare io scateno la guerra, questo te lo posso garantire” minaccia l’hacker, che qualche legame con il clan catanese dei Santapaola lo può vantare. E non esita a ricordarlo a Fidale “Eh Miche – dice, intercettato a Fidale – tu sai sempre con chi sto io, non mi far fare le cose…”. Il calabrese lo gestisce, lo fa sfogare, lo rassicura. Anche quando Cernuto minaccia di sequestrare Gori, intimandogli “se fra un’ora non lo fanno (il bonifico ndr) lo porti e sta con noi tre giorni”, Fidale, con tutta la sicurezza che deriva dall’avere le spalle coperte, si limita a rispondere “sto io con te tre giorni”. Ma quando Giuseppe Costanzo – un altro catanese del gruppo degli hacker, oserà minacciarlo in maniera diretta – “noi non siamo gli ultimi arrivati, tu non ci conosci” dice – al calabrese basterà una frase sola – “io so chi sono io, non ti preoccupare” – per gelarlo. In realtà, tanto gli hacker come Fidale avranno molto di cui preoccuparsi. In quelle ore, i finanzieri stavano monitorando le manovre informatiche e non del gruppo e si preparavano già a far scattare l’operazione, che farà finire tutti in manette.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it