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I magistrati non devono essere lasciati soli

«La ‘ndrangheta oggi controlla il territorio in modo capillare ed ormai ha raggiunto la condivisione». Non ha avuto esitazione alcuna il procuratore distrettuale antimafia di Reggio Federico Cafier…

Pubblicato il: 03/04/2015 – 12:01

«La ‘ndrangheta oggi controlla il territorio in modo capillare ed ormai ha raggiunto la condivisione». Non ha avuto esitazione alcuna il procuratore distrettuale antimafia di Reggio Federico Cafiero de Raho, a fare un’affermazione di questo tipo, partecipando ad una riflessione sul tema “Legalità come fattore di sviluppo”. Per farla, qualche tempo dopo il suo arrivo a Reggio, se ne deve essere realmente convinto. Altrimenti avrebbe usato parole meno pesanti. D’altro canto come si fa a contribuire alla legalità per migliorare il vivere civile dei calabresi e degli altri cittadini italiani, se non si dice la verità e si fa ricorso alla cosiddetta carità pelosa per «quaeta non movere»? De Raho, no. Non è il suo modo di fare. Ha avuto modo di sostenere che, qui e là, esistono imprenditori e cittadini che anticipano finanche la richiesta estorsiva per “evitare problemi”, mentre, altre volte, sono proprio gli uomini della ‘ndrangheta a dare le dritte giuste e soprattutto ad indicare chi e quanti devono poter lavorare. Questo, a giudizio, del numero uno della direzione distrettuale antimafia comporta che la ndrangheta non solo non si debelli o attenui lo strapotere di cui gode, ma addirittura si ramifichi in ogni dove, prosperi e si allarghi in tutte le regioni italiane oltre che in Europa ed in altre parti del mondo. «Prospera – la ‘ndrangheta – nel traffico di cocaina, come si sgola a dire incontrando studenti, giornalisti, operatori economici, il procuratore aggiunto Nicola Gratteri, al punto che primeggia su scala planetaria rispetto alle altre, non poche, organizzazioni criminali. Poi un dato che lascia a bocca spalancata: solo a Gioia Tauro si sequestra una tonnellata e mezza di cocaina purissima, significa che sul mercato questa quantità diventa almeno dieci tonnellate. E leggendo quanto costa al chilo, si può fare, ognuno dei calabresi onesti,ma anche quanti si girano dall’altra parte o fanno come gli struzzi, il conto di quanti milioni di euro si “guadagna” e si reinvestono in attività c.d.legali. L’uomo che ridusse lo strapotere dei casalesi è stato pesante, ma veritiero, ma solo perché la gente si possa rendere conto che non possono bastare carabinieri, polizia e guardia di finanza ed evidentemente gli stessi magistrati, a frenare la criminalità calabrese. I magistrati non possono né debbono essere lasciati soli. Servono le denunce, anche se ognuno, per quieto vivere, preferisce essere Don Abbondio. Essere antimafioso a parole, è solo una presa in giro. Basta alzare lo sguardo a Palermo. L’antimafioso delle ultime settimane era un mafioso di livello. E’ vero che sono state messe al bando le imprese che colludono, ma si tratta solo di proclami perché secondo Cafiero De Raho, le denunce si vedono al lumicino. Il procuratore non ha avuto remore nell’affermare che all’inizio della sua avventura a Reggio Calabria partecipava ai convegni degli imprenditori per illustrare la reale situazione della Procura che aveva trovato, ha atteso le denunce di quanti si erano, a parole, impegnati a presentarle, poi, quando ha visto che di scritto non arrivava nulla, non ha inteso partecipare a riflessioni Procura-imprese. Per evitare cattive interpretazioni. Non sta però chiuso nelle stanze,peraltro tristi,della Procura. Ha scelto di stare con i giovani studenti perché siano loro a credere nella legalità per loro stessi,ma anche per farsi portavoce presso genitori e parenti.
E non basta. Nonostante l’impegno iniziale di Tano Grasso nel creare le associazioni antiracket, queste in Sicilia e a Napoli hanno, più o meno, funzionato. In Calabria, perché no, si è chiesto l’uomo di legge? Certo se poi si aggiunge che dalle nostre parti la magistratura è priva di uomini e mezzi (diceva un tempo Enzo Macrì, procuratore generale di Ancona, che i magistrati avvisano le famiglie e contano i morti ed al massimo passano le carte). A dare ragione a Cafiero, il vicepresidente di Confindustria, Ivan Lo Bello. L’uomo,esempio della Sicilia onesta, non ha avuto timore ad ammettere che «esiste una muta convenienza tra alcune imprese e criminalità organizzata» soprattutto al Sud, dove la società è più debole ed è esposta a corruzione e violenza.
Sul tasto dolente dei Tribunali che non sono stati ancora messi in grado di funzionare, si è soffermato il calabrese – di Santa Cristina d’Aspromonte – Luca Palamara, oggi, componente del Csm, già presidente dell’Associazione nazionale magistrati. «Dobbiamo camminare a passo spedito verso il cambiamento», è stato il suo parere. E per far questo, ha aggiunto, bisogna aggredire i problemi, riequilibrando gli organici degli uffici requirenti e giudicanti. «Nel distretto di Reggio Calabria, nel quale Palamara, ha svolto le funzioni di sostituto procuratore, ci sono ancora piante organiche obsolete. Sì, ma perché i concorsi non si susseguono a ritmo maggiormente serrato? Una motivazione vera non si conosce. E la prendiamo a prestito dallo stesso Palamara: «Per far funzionare meglio i processi, con conclusioni in tempi giusti, gli organici vanno adeguati per dare un fattore di speranza in più per cittadini». Insomma, per dirla col prefetto di Reggio Calabria, Claudio Sammartino, la sfida di oggi è quella di far comprendere a tutti che la legalità conviene.

 

*Giornalista

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