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Salvini, Platì e quelle domande a cui la Lega non risponde

Il segretario della Lega Nord Matteo Salvini non è nuovo ad affermazioni shock, come a uscite buone per titoli di tg e notizie da prima pagina. Spesso, per attirare l’attenzione dei media e solleti…

Pubblicato il: 05/06/2015 – 17:18

Il segretario della Lega Nord Matteo Salvini non è nuovo ad affermazioni shock, come a uscite buone per titoli di tg e notizie da prima pagina. Spesso, per attirare l’attenzione dei media e solleticare le pance degli italiani immiseriti, non ha esitato a pescare nel più becero immaginario fascista e razzista, condito di quel pizzico di revanscismo anticasta che dai tempi dell’Uomo qualunque – era il lontano ’46 – in Italia non guasta mai. Con l’uscita su Platì, Matteo Salvini si è superato. «Ho appreso tardi di quel comune calabrese, Platì, dove non s’ è votato, dove nessuno presenta la lista per paura della mafia locale. Sel’ avessi saputo – ha detto convinto – ci avrei messo la faccia».

A un politico leghista è necessario un discreto grado di spavalderia e spudoratezza per fare un’affermazione del genere. E non semplicemente perché chiunque parli con un fazzoletto verde al collo – oggi sostituito da felpine finto-operaie – è espressione di un partito che ha costruito la sua iniziale ragion d’essere sulla secessione dal sud parassita. Ad acrobatiche capriole teoriche la Lega non è nuova. Basti pensare alla mutazione genetica che ha portato i manifestanti contro le quote latte a sedersi più o meno composti in Parlamento, alleati dei residuati bellici di quei partiti che per loro rappresentavano la personificazione di tutti i mali, per poi ancora catapultarsi alla testa di un movimento politico di aspirazione nazionale a braccetto con i neofascisti nostalgici di “Roma capitale dell’Impero”. Il problema è un altro.
È necessario un certo grado di spudoratezza e spavalderia per proporsi di guidare un paese conosciuto come roccaforte della ‘ndrangheta se proprio sulla ‘ndrangheta si è pesantemente inciampati non troppo tempo addietro.Salvini sembra averlo dimenticato, ma proprio il suo è il partito che nell’aprile 2012 è stato scoperto ad utilizzare i canali scavati dal clan De Stefano per accumulare all’estero un tesoretto in titoli e diamanti. Il suo è il partito che aveva affidato le proprie casse a un signore di nome Francesco Belsito, vibonese d’origine ma politicamente cresciuto a Genova all’ombra della peggiore Dc, per poi salire in corsa sul carro dell’ex tesoriere leghista, Maurizio Balocchi. Due personaggi – Belsito e Balocchi – di cui il collaboratore Francesco Oliverio ha detto «parlando con il compare di Reggio venni a sapere che i De Stefano operavano tranquillamente in Liguria riciclando soldi e facendo investimenti. Nel discorso, quale contatto, il compare aveva accennato all’ex tesoriere della lega Belsito, nonché del precedente tesoriere dello stesso partito, da tempo deceduto, il quale oltre a favorirli nel riciclaggio gli custodiva anche le armi».Del resto, il socio storico di Belsito – finito a fare il sottosegretario del ministro leghista Roberto Caladeroli, nonché rappresentante degli interessi del Carroccio in Finmeccanica – era sempre quel Romolo Girardelli, finito in passato al centro di un ordinanza di custodia cautelare per aver fatto giochi di prestigio finanziari per sovvenzionare la latitanza di Roberto Fazzalari e considerato dagli inquirenti uomo del clan De Stefano a Genova.

Certo – si dirà – quella era la Lega antica, poi c’è stata “la notte delle scope”, il “cerchio magico” di Bossi è stato spazzato via insieme a lui, è arrivato il Carroccio 2.0 di cui Salvini è il paparazzatissimo segretario, per la Causa – e ancora c’è da capire quale sia – disposto anche a denudarsi su settimanali femminili di gran tiratura.
Tuttavia, ci sono degli elementi di continuità fra nuova e vecchia Lega, che magari Matteo Salvini dovrebbe provare a spiegare prima di proporsi come “l’uomo nuovo per Platì”. Dovrebbe spiegare ad esempio come mai il Carroccio ha così tanto voluto rompere con Belsito da non costituirsi parte civile nel processo che lo vede imputato a Milano. Certo, lì accuse di ndrangheta non ce ne sono – l’inchiesta Breakfast della Dda di Reggio, arrivata a ipotizzare anche la violazione della legge Anselmi sulla costituzione delle società segrete aggravata dall’aver favorito la ‘ndrangheta, è ancora in fase di indagine- ma il Carroccio non aveva giurato e spergiurato di voler recidere ogni contatto e prendere le massime distanze da quell’uomo considerato da altre procure a disposizione delle ‘ndrine?

Sempre per rimanere in argomento, la Lega dovrebbe spiegare come mai abbia scelto di farsi rappresentare nel cda di Expo da Giovanni Aiello – avvocato calabrese doc di Palermiti, paesino di mille anime in provincia di Catanzaro – da anni “soggetto di interesse investigativo” nell’ambito di quella stessa indagine Breakfast che ha messo nei guai Belsito. Lo si è scoperto “grazie” alla storiaccia che lo ha visto protagonista insieme all’ex pm Alfredo Robledo, spedito a Torino con le funzioni di giudice proprio per il «rapporto di assoluta opacità» – dice la sezione disciplinare del Csm – stretto con l’avvocato. Un legame – dicono i magistrati del Csm- basato su uno «scambio di favori» in base al quale l’ex pm avrebbe fornito notizie su atti coperti da segreto relativi all’inchiesta Rimborsopoli, in cambio degli atti presentati al Parlamento Europeo da Gabriele Albertini, controparte dell’ex procuratore aggiunto in un giudizio civile. Sì certo, Aiello è il legale personale di Maroni, dunque uomo di assoluta fiducia, ma era proprio necessario spedire nel board della società che gestisce uno dei maggiori investimenti pubblici del decennio un uomo finito al centro delle attenzioni di una procura antimafia?
Infine, giusto per completezza, prima di proporsi come soluzione per Platì, Salvini dovrebbe spiegare se ancora rivendica quanto affermato dall’ideologo e padre fondatore della Lega, Gianfranco Miglio, che nel teorizzare la divisione dell’Italia in tre cantoni, avrebbe confidato al Giornale: «Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate».
Ecco, prima di proporsi come soluzione per il sud, la Calabria e Platì, prima di parlare di lotta alla ‘ndrangheta, Salvini dovrebbe provare a spiegare queste cose.

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