L'ex premier australiano e i soldi del lobbista vicino ai clan
LAMEZIA TERME John Howard è il primo ministro che ha guidato l’Australia a cavallo tra la fine del secondo e l’inizio del terzo millennio. Da qualche anno la sua stella ha imboccato la parte discende…

LAMEZIA TERME John Howard è il primo ministro che ha guidato l’Australia a cavallo tra la fine del secondo e l’inizio del terzo millennio. Da qualche anno la sua stella ha imboccato la parte discendente di una parabola politica che lo ha portato a perdere anche il suo seggio a favore del Partito laburista. Da ieri, però, l’ex premier ha forse anche perso la faccia. Perché un’inchiesta giornalistica ha svelato che il suo partito, allo scopo di rastrellare dollari per l’attività politica, avrebbe stretto un patto molto scomodo con le propaggini australiane della ‘ndrangheta.
Una scena per tutte: Howard si muove a suo agio verso il tavolo dei sostenitori, stringe mani e ha parole gentili per tutti. Ma non ha idea di chi sia l’uomo che si gira verso di lui per tendergli la mano. Quell’uomo ha il classico aspetto dell’imprenditore facoltoso, e non soltanto perché indossa un completo costoso. Anche lui, racconta il lavoro giornalistico dell’Abc e del “Sidney morning herald” è perfettamente a suo agio tra i lobbisti radunati a Melbourne. Tony Madafferi, oltre al cognome che ne svela l’origine calabrese, non è un lobbista come gli altri. La sua presenza è stata frequente negli incontri per le raccolte fondi dei liberali e anche nei rapporti dell’Anticrimine australiana. Questo dai primi anni Novanta, quando Madafferi – che non ha comunque mai ricevuto un’incriminazione diretta e nega il suo coinvolgimento in attività criminali – fu nominato in due inchieste della magistratura e sospettato di essere un boss della ‘ndrangheta e un sicario. Nel 1995, un documento della Commissione antimafia istituita in Australia spiegava che «l’appartenenza di Antonio Madafferi a una società segreta legata al crimine deve essere considerata altamente probabile». Il suo nome è balzato agli onori delle cronache anche in tempi più recenti, questa volta per gli incontri clandestini in un parco con i trafficanti di droga che hanno organizzato, nel 2007, la più grossa importazione di ecstasy mai registrata in Australia.
Le foto di Madafferi come sostenitore finanziario della politica hanno creato molto imbarazzo. Ma non quanto un’altra storia emersa nel corso del lavoro d’inchiesta. Storia che evidenziato come le chiacchierate tra i livelli più alti del governo e Madafferi non siano state esattamente occasionali. Non con Howard, che lo ha visto raramente, ma con altri membri dell’esecutivo, il lobbista sospettato di legami con la ‘ndrangheta ha cercato di risolvere un grosso problema di suo fratello Frank, che, dopo una serie di guai giudiziari per droga, rischiava di essere allontanato per sempre dall’Australia. Questo prima che un ministro del Partito liberale, Amanda Vanstone – che, come Howard, avrebbe incontrato Tony Madafferi –, gli concedesse un visto per il soggiorno.
Frank Madafferi sarebbe dovuto tornare in Italia dopo una condanna per estorsione, associazione mafiosa, droga e detenzione di armi, ma il governo australiano si oppose, spiegando che la sua estradizione in Italia avrebbe avuto conseguenze negative su sua moglie e i suoi figli. Dietro la scelta, invece, ci sarebbe stata una manovra di avvicinamento ai liberali, portata a termine a suon di fondi da parte di persone vicine alla famiglia Madafferi. Diciotto mesi dopo aver ricevuto il visto umanitario da parte del governo, Frank Madafferi fu coinvolto nella più grossa importazione di droga della storia. Nel 2008 fu accusato di narcotraffico e nel 2009 di aver cospirato in un caso di omicidio.
Intanto, le donazioni continuavano, mentre un dossier descriveva l’affaire del visto «un caso di studio che mostra il modo in cui la ‘ndrangheta australiana si infiltra tra i pubblici ufficiali e ottiene influenza attraverso procedure legittime». Ma piuttosto opache, come la donazione di fondi alla politica.
p. p. p.