COSENZA Gli appalti erano “cosa loro”. Angelo Gencarelli, uno degli arrestati nell’ambito dell’operazione “Acheruntia”, avrebbe gestito tutto, persino la pulizia dei fiumi. Nessun estraneo poteva “accedere” senza il suo permesso. Un modus operandi che i magistrati della Dda di Catanzaro, Vincenzo Luberto e Pierpaolo Bruni, mettono in evidenza nelle quasi quattrocento pagine dell’ordinanza di custodia cautelare. E quando qualcuno si accaparava un lavoro doveva corrispondere una somma a Gencarelli. È quello che è successo – come è stato ricostruito dall’attività investigativa – ad esempio per la pulizia del fiume Mucone, ad Acri. In questo caso, secondo l’accusa, Angelo Gencarelli con minacce e facendo leva sul ruolo predominante avuto nel clan Lanzino-Ruà, avrebbe costretto un imprenditore a versare il “dazio” di mille euro. Il problema riguardò, anche, l’assegnazione del terzo lotto dei lavori del fiume Mucone. Un imprenditore riferì agli inquirenti che secondo una graduatoria quell’appalto sarebbe spettato a lui, ma gli sarebbe stato impedito di aggiudicarsi i lavori che vennero assegnati – è scritto nell’ordinanza – a due persone. Una di queste era Salvatore Gencarelli, tra gli arrestati dell’operazione e parente di Angelo Gencarelli. L’imprenditore, che avrebbe vinto l’appalto, si sarebbe poi recato sui cantieri per chiedere spiegazioni ma con «tracotanza e arroganza» gli venne chiesto di allontanarsi e andare via subito. Un altro imprenditore, per potersi accaparrare i lavori del terzo lotto, sarebbe stato costretto – è lui stesso a riferirlo ai carabinieri – a cedere il subappalto dei lavori all’impresa “La Fungaia” di Salvatore Gencarelli, definito dagli inquirenti «sodale di Angelo Gencarelli». Gli imprenditori hanno spiegato agli investigatori di essersi assoggettati al volere di Angelo Gencarelli per paura della sua caratura ‘ndranghetistica.
«Notori – riferisce un imprenditore – sono i rapporti di solidarietà e frequentazione, oltre che amicali, di Gencarelli con il noto boss Giuseppe Perri… Per questo non era possibile rifiutare di pagare la somma di mille euro per poter eseguire i lavori del terzo lotto». Quindi, il sistema applicato dalla cosca sarebbe stato a catena: un imprenditore avrebbe dovuto versare mille euro a una ditta che gli ha subappaltato i lavori del terzo lotto, somma che poi quest’ultimo avrebbe versato ad Angelo Gencarelli. Ma, nonostante avesse pagato quella somma, alla fine proprio per quel contesto da lui definito «torbido», l’imprenditore non completò i lavori del terzo lotto. Alla luce delle risultanze investigative, gli inquirenti non hanno dubbi sulla condotta estorsiva di Angelo Gencarelli che si sarebbe interessato di gestire gli appalti già due anni prima dalla pubblicazione del bando.
Il “dominus” del clan ad Acri si sarebbe fatto forza non solo del suo rapporto stretto con l’allora assessore regionale all’Agricoltura, Michele Trematerra, e del ruolo ricoperto nella struttura regionale, ma anche del suo ruolo di consigliere comunale di Acri, in quota Udc, e di presidente della commissione Urbanistica dell’ente. E quando il proprietario della ditta aveva difficoltà a trovare i mille euro, Angelo Gencarelli lo minacciava – scrivono i magistrati della Dda – perché gli «impegni presi vanno rispettati». Gencarelli – mettono nero su bianco gli inquirenti – avrebbe agito nel suo ruolo di pubblico ufficiale. Dall’attività investigativa emerge a chiare lettere la sua condotta concussiva. A leggere le carte della Direzione distrettuale antimafia, la cosca – attraverso i suoi sodali sul territorio di Acri e dintorni – avrebbe messo le mani pure sui boschi, sugli alberi e sui fiumi.
mi.mo.
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