REGGIO CALABRIA Uno tra i tanti modi per affrontare le calde giornate estive in città potrebbe essere una visita culturale al Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, in pieno centro storico. La casa dei Bronzi di Riace, di importanti testimonianze della civiltà magnogreca, di opere di inestimabile valore come la Testa del Filosofo.
Tre piani e una terrazza panoramica dall’utilizzo ancora indefinito, il museo è stato riaperto a dicembre 2013 dopo continui rinvii causati dal costo eccessivo del restauro: un budget che è lievitato fino a quasi raddoppiare per motivi più o meno sconosciuti, passando dagli iniziali 17 milioni ai forse ultimi 32 milioni di euro stimati a fine 2012, dopo lo slittamento dell’apertura inizialmente prevista per i 150 anni dell’Unità d’Italia, nel 2011.
Dopo aver letteralmente rimesso in piedi i Bronzi di Riace, rinchiusi per anni in una teca di Palazzo Campanella per un restauro completo, ecco che il museo ha riaperto i battenti in pompa magna, assicurandosi record di visite durante “Una notte al Museo” con oltre 5mila visitatori in un giorno, e un posto assicurato tra i primi venti musei italiani. Ma di tutti quei riflettori e lustrini, oggi, cosa resta? Molto poco, verrebbe da dire.
Entrando a Palazzo Piacentini con un’idea diversa dal vedere i Bronzi di Riace, il paesaggio espositivo che ci si trova davanti è quantomeno scarno e deludente.
Gli impiegati del museo, cortesi e preparati, informano scusandosi che dell’intero palazzo è visitabile soltanto il piano terra – dove si trova la sala dei Bronzi – con una mostra dedicata ai resti dell’antica Rhegion, con reperti provenienti dalla città in età arcaica, classica ed ellenistica. Acquistato il biglietto all’ingresso, ci si può dirigere verso l’ingresso della sala, ma ecco un primo cartello, subito accanto all’avviso del divieto di flash: «Ci scusiamo per il momentaneo disagio, stiamo lavorando per l’allestimento definitivo del Museo». Il disagio è visibile appena entrati: i materiali – monili, vasi, ceramiche, monete, gioielli, statue e molto altro – sono esposti in ordine in lucide teche di vetro, corredate però da didascalie che si potrebbero definire “di fortuna”. Post-it gialli, pezzi di quaderni ad anello, carta igienica – o forse da cucina – e persino pezzetti di fogli a quadretti con didascalie sbagliate cancellate con un netto tratto di penna, come se buttare un foglietto di carta per sostituirlo con un altro fosse uno spreco troppo grande. I basamenti sui quali sono esposte le tombe dell’antica Rhegion non se la passano di certo meglio. Qualcuno – evidentemente molto basso data l’esigua altezza del rialzo – per vedere meglio dentro, ha pensato di salire sulla base bianca con le scarpe da ginnastica, lasciando non una, ma decine di impronte che oggi corredano l’esposizione degli imponenti resti.
Le teche sono assomigliano al corso più frequentato di Reggio, con l’avviso «vetrine in allestimento». Nel primo caso, una scusa per non esporre i prezzi, nel secondo, una scusa per non comprare delle targhette dignitose che possano rendere onore al lavoro di quanti hanno permesso che i reperti antichi fossero esposti in un museo e non restassero sepolti nella terra. «Abbiamo avuto dei problemi – dicono sinteticamente ma con non poco imbarazzo gli impiegati di Palazzo Piacentini – ma speriamo che adesso si siano sbloccati. Piano piano…». La quiete e la pulizia regnano invece sovrani nella sala che ospita i Bronzi di Riace, fiore all’occhiello della città, che dominano il centro dello spazio affiancate dalla Testa del Filosofo e dalla Testa di Basilea. Un’oasi nel deserto di abbandono che oggi rappresenta il Museo Nazionale della Magna Grecia.
red. corcal.
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