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"Crimine", condanne confermate: più di due secoli di carcere

REGGIO CALABRIA Tre condanne riviste al ribasso e una valanga di conferme. La Corte d’appello reggina ha scelto di lasciare sostanzialmente inalterata la sentenza con cui i giudici di Locri hanno inf…

Pubblicato il: 16/07/2015 – 13:51
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"Crimine", condanne confermate: più di due secoli di carcere

REGGIO CALABRIA Tre condanne riviste al ribasso e una valanga di conferme. La Corte d’appello reggina ha scelto di lasciare sostanzialmente inalterata la sentenza con cui i giudici di Locri hanno inflitto oltre due secoli di carcere ai trentasei imputati del processo ordinario Crimine, scaturito dal maxiblitz che il 13 luglio del 2010 ha portato a oltre trecento arresti fra la Calabria e la Lombardia.

I giudici hanno dunque detto no alle richieste del pg Adriana Fimiani e del pm Antonio De Bernardo che alla Corte avevano chiesto di ribaltare cinque delle dodici assoluzioni decise in primo grado e rivedere al rialzo diverse condanne. Istanze non accolte dai giudici che invece hanno al contrario deciso di confermare quasi in blocco il precedente giudicato.

Confermate le assoluzioni di Francesco Marzano e Giuseppe Velonà, per i quali la Procura aveva chiesto 12 anni, Carmelo Ferraro, per il quale erano stati chiesti 13 anni e Giuseppe Siviglia, per il quale era stata chiesta una condanna a 16 anni. Strappano una timida riduzione di pena solo Antonio Commisso (classe ’25), che passa da 15 a 13 anni di carcere, Francesco Gattuso, che passa da 16 a 13 anni di carcere e Ernesto Mazzaferro, che passa da 18 a 13 anni di carcere. Oggi come nel luglio scorso si confermano invece le condanne di Domenico Gangemi (19 anni e 6 mesi), Mario Giuseppe Stelitano (15 anni), Rocco Bruno Tassone (13 anni), Francesco Bonarrigo (12 anni), Antonio Figliomeni (11 anni), Antonio Futia (11 anni), Giuseppe Bruzzese (9 anni e 6 mesi), Giuseppe Giampaolo (9 anni e 6 mesi), Domenico Rocco Cento (9 anni), Antonio Cuppari (9 anni), Vittorio Barranca (8 anni), Roberto Commisso (8 anni), Michele Fiorillo (8 anni), Antonio Angelo Cianciaruso ( 8 anni), Giuseppe Caccia (3 anni e 8 mesi), Michele Capasso (2 anni), Vincenzo Fleres (2 anni), Vincenzo Nunnari (2 anni) e Nicola Perrotta (2 anni)

 

CONFERME Nonostante i giudici d’appello non abbiano accolto le richieste della Procura generale, si conferma l’impianto generale dell’inchiesta che ha sublimato in sede giudiziaria il principio dell’unitarietà della ‘ndrangheta, emerso in sentenze e atti giudiziari fin dallo storico procedimento sul summit di Montalto. Agli atti rimane dunque la fotografia dinamica del substrato più militare della ‘ndrangheta reggina, collante necessario per tenere insieme un’organizzazione complessa e articolata, capace di sedere nei cda di grandi multinazionali, come di imporre la guardiania su un terreno.

Una struttura dinamica e sensibile ai cambiamenti pur di continuare a imporre il proprio dominio e macinare profitti, estremamente duttile e versatile, ma che proprio per questo ha ancora bisogno di un’architettura di regole e prassi che leghi il braccio più operativo e legato al territorio e il gotha, i soldati e gli strateghi.

Sebbene dunque i vertici decisionali di quella che oggi è comunemente definita “la mafia più potente del mondo” possano fare a meno di santini e rituali, è proprio quel sistema di regole a permettere a chi può – per posizione, ruolo e compiti – farne a meno di controllare il magma grande dell’organizzazione stessa. Una dimensione fotografata dal gup Minutoli nelle motivazioni della sentenza di primo grado con rito abbreviato scrive parole estremamente chiare al riguardo: «La ‘ndrangheta, anche quella che importa dal Sudamerica cocaina o che ricicla nei mercati finanziari mondiali ingenti risorse economiche è quella che ha come substrato imprescindibile rituali e cariche, gerarchie e rapporti che hanno il loro fondamento in una subcultura ancestrale e risalente nel tempo, che la globalizzazione del crimine non ha eliminato ma che, probabilmente, costituisce la forza di quella organizzazione ed il suo “valore aggiunto”».

 

Alessia Candito

a.candito@corrierecal.it

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