Francesco De Cicco è l’assessore più attivo tra quelli che siedono nella giunta di Mario Occhiuto. Si occupa della Cura dei quartieri. La sua pagina Facebook è il resoconto degli interventi compiuti e annunciati: pozzetti fognari, buche, verde pubblico. De Cicco si è assegnato un soprannome, Superman, e uno slogan, «niente kiakkiere», con la “k” giovanilista per essere ancora più vicino ai cittadini. Ai quali, per inciso, è già vicinissimo: per dirne una, nei post sui social aggiunge indirizzo civico e numero di cellulare.
Da qualche settimana, l’immagine preferita dall’assessore iperattivo è la ruspa. Cosenza ha tradotto in pratica politica l’appello salviniano all’abbattimento dei campi rom. Dall’annuncio alla realtà: il campo lungo il fiume Crati non c’è più, al suo posto una spianata di terra. E via con i commenti (sempre sui social): tra un “forza le ruspe” e un “finalmente” si esulta per la “liberazione” del paesaggio; nessuno (o quasi) fa cenno alle condizioni di vita delle famiglie che “occupavano” le sponde. Prima non se la passavano bene, ma adesso?
(Il panorama lungo il fiume senza la baraccopoli)
Adesso, all’interno della tendopoli allestita nei pressi della stazione, a metà mattinata la temperatura percepita sfiora i 50 gradi centigradi. Il viaggio del Manifesto nella “soluzione” trovata dall’amministrazione comunale di Cosenza illustra condizioni e numeri: 45 tende da 10 posti ciascuna; 14 fornelli – che funzionano in modo alternato, per via della mancanza di corrente elettrica – per le 450 persone che, in teoria, potrebbero trovare ospitalità nella tendopoli. E telecamere adibite al controllo di ogni attività.
Quanti siano in realtà, lo dice ancora una volta “Superman” De Cicco, esaltando gli sforzi dell’amministrazione comunale: la presenza «è stata dimezzata da 700 a 360 persone nel campo di Protezione civile dove resteranno per tre mesi». E questo ci porta a uno dei nodi della vicenda. Cosa succederà dopo quei tre mesi? Qual è (almeno secondo la parte oltranzista di quelli che hanno sostenuto la scelta) il motivo per cui è nata la tendopoli?
(La baraccopoli lungo il Crati prima dell’abbattimento)
Alla prima domanda non si può rispondere se non utilizzando i dubbi delle associazioni che assistono il popolo del fiume. Sono molte: Sentiero non violento, San Pancrazio, Scuola del vento, Ercolino Cannizzato, Lav Romanò, Moci, La Spiga, Amnesty International, Piccole sorelle di Gesù, Circolo culturale Popilia, Ambulatorio senza confini “A. Grandinetti” – Auser e La Kasbah. Per loro, il nuovo campo è quasi una prigione. E le prospettive, per la gente che lo abita, sono per lo meno fumose. Sono tutti d’accordo nel dire che la soluzione è «temporanea» ma il termine, nel campo delle politiche sociali, ha sfumature che confondono. Quella tendopoli potrebbe restare lì per sempre. Oppure essere il preludio a quello che, in ambienti della maggioranza, si considera il vero obiettivo: l’allontanamento dei rom da Cosenza. Il solito De Cicco, quando le ruspe avevano appena iniziato a lavorare, faceva già la conta dei partenti: «Dai controlli fatti, 130 rom rumeni sono già andati via dalla nostra città perché non vogliono stare nelle tende. Tutti uniti, cittadini e amministrazione: denunciamo. Non dovranno più sostare ai semafori. Per risolvere il problema in modo radicale bisogna fare questo, abbattere il muro dell’omertà denunciando senza avere paura». C’è sempre un Sud più a Sud, c’è sempre qualcuno più “terrone”, anche per i “terroni”. E così si tira fuori una categoria come l’abbattimento del muro dell’omertà, che a Cosenza – città in cui la ‘ndrangheta punta tutti i settori, senza salvare la politica – potrebbe essere rivolta contro altri obiettivi. Ma tant’è: ci si concentra sui rom (rumeni, è bene specificare). Per spiegare che «fra tre mesi il problema sarà risolto completamente». Forse sperando che i 50 gradi e i tre mesi da “videosorvegliati” convincano tutti ad allontanarsi dalla poco accogliente città dei Bruzi. Il sindaco Mario Occhiuto spiega il presente e il futuro dal suo punto di vista: «Oggi abbiamo un unico campo di protezione civile allestito in sicurezza da ogni punto di vista. Non ci saranno più rischi per la salute e l’igiene dei cittadini. Abbiamo inoltre contezza del fatto, a proposito di sicurezza delle persone, che sono andati via i rom più pericolosi e dunque ora quelli che davvero intendono integrarsi dovranno provvedere a cercarsi un’abitazione e lasciare in pochi mesi le tende, visto che la permanenza nel campo è temporanea e ha le sue regole».
(L’interno di una delle tende, dal profilo Facebook del sindaco Occhiuto)
Qui non c’entrano gli schieramenti; al di là delle sfumature – e delle analisi che ciascuno utilizza in vista delle amministrative del 2016 – il sentire politico non è molto diverso se si salta da un polo all’altro. Il Pse ha promosso un manifesto (firmato da tutto il centrosinistra, Pd compreso), a ridosso dell’installazione delle strutture nei pressi della stazione ferroviaria. «No alla tendopoli rom di Vaglio Lise», diceva. Perché «via Popilia ha già pagato un prezzo altissimo in termini di degrado e mancato sviluppo»; perché non si possono «sistemare i rom sempre e solo in questo quartiere. E perché solo a Cosenza?». Il manifesto dice anche una “cosa di sinistra”: «Telecamere, recinti, custodi, docce e bagni comuni: più che un campo temporaneo sembra un lager». Ma il leitmotiv è un altro: rievoca il “non nel mio cortile” delle battaglie ambientali, punta tutto sulla convivenza difficile della gente del fiume con il quartiere popolare. Anche per il centrosinistra c’è un Sud più a Sud, specie se le elezioni si avvicinano.
(Il manifesto del centrosinistra contro la tendopoli a Vaglio Lise)
E pure Giacomo Mancini, che si accinge a proporre una candidatura “civica” per il 2016, segnala, allegando una foto delle tende schierate sotto il sole, che «la prima impressione è quella che conta. Così ci insegna la saggezza popolare. Purtroppo per tutti i cosentini la prima impressione che la nostra città lascia a chi arriva in treno è terrificante. E tutti noi, ma proprio tutti, ne abbiamo solo da perdere».
Ci perde anche l’immagine di “Cosenza solidale”, che appare sbiadita e schiacciata da una politica più attenta ad assecondare il presunto “italiano medio” – le idee di Matteo Salvini fanno salire l’audience elettorale – che a riflettere concretamente sul tema dell’integrazione.
Intanto la “Fondazione Romanì Italia” ha annunciato di aver presentato un esposto alla Procura di Cosenza in cui chiede di accertare la presenza dei reati di «discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». E di accertare «eventuali reati commessi dal Comune di Cosenza nella realizzazione della tendopoli e nella gestione e trasferimento delle persone nella stessa tendopoli».
A poche centinaia di metri dal centro cittadino si dorme su brande senza materassi, a 50 gradi all’ombra. Si (soprav)vive senza frigoriferi e quasi senza assistenza sanitaria. Durerà solo tre mesi, certo, poi i più “terroni” tra i “terroni” troveranno una sist
emazione. O andranno via. Come diceva “Superman” De Cicco rispondendo a un amico: «Tutti a casa loro, compa’ Fra!». Almeno lui ha il dono della sincerità.
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