La protesta (gentile) della Dda di Catanzaro
CATANZARO Quella che i procuratori della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro stanno portando avanti è una protesta gentile. Non manca occasione, durante gli svariati incontri e le conferenz…

CATANZARO Quella che i procuratori della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro stanno portando avanti è una protesta gentile. Non manca occasione, durante gli svariati incontri e le conferenze stampa che si tengono al termine di ogni operazione, perché i magistrati lancino un appello contro la grave carenza di organico della quale è afflitta la Dda del capoluogo calabrese. Il 20 luglio corso, nel corso dell’operazione stralcio di “Purgatorio”, grazie alla quale è stato fermato un giro di furti e vendita illecita di beni archeologici calabresi, i magistrati spesero sul problema parecchie parole. «Lavoriamo in condizioni di estrema difficoltà», volle ribadire, come fa ad ogni occasione, il procuratore aggiunto Vincenzo Luberto. «Catanzaro – confermò il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri – è il terzo distretto del Meridione e sono solo sei i sostituti procuratori che si occupano di ‘ndrangheta. Così il sistema giustizia non può decollare».
Qualche settimana prima vi era stata l’operazione “Overing” che aveva smantellato un grosso giro di cocaina tra il Sudamerica e l’Europa. Fulcro dei traffici erano la Spagna e la Calabria. Un’operazione importante, durata quasi 10 anni, e parecchio faticosa, fatta di intercettazioni ma anche di un paziente lavoro di infiltrazione all’interno della consorteria criminale dei fratelli Cortese, legati alla cosca Mancuso di Limbadi. Anche in questo caso il lavoro era stato gestito da una solo magistrato, Camillo Falvo, responsabile dell’area vibonese, un territorio complesso e difficile nel quale da qualche anno si stanno ottenendo i risultati più importanti. Anche questo è stato sottolineato da pm Luberto. Sono appelli accorati affinché il lavoro dei magistrati, in quella che è la regione che ospita la criminalità organizzata più potente e ramificata del Paese, e non solo, venga rinforzato per poter creare un ufficio che diventi il vero contraltare della ’ndrangheta.
Un esempio concreto della mole di lavoro che occupa un sostituto procuratore? È arrivato tre giorni fa, con l’arresto dei quattro presunti partecipi all’omicidio di Ferdinando Rombolà, freddato sulla spiaggia di Soverato in un calda sera di agosto del 2010. Ma prima di arrivare a lui la guerra di mafia nel Soveratese aveva portato una lunga scia di sangue. Il procuratore aggiunto Vincenzo Luberto la elenca nei dettagli: l’omicidio del boss di Serra San Bruno Damiano Vallelunga (27.9.09); l’omicidio e l’occultamento del cadavere di Giuseppe Todaro (22.12.09); l’omicidio di Pietro Chiefari (16.1.2010); il tentato omicidio di Giuseppe Santo Procopio (26.1.2010); il tentato omicidio di Vittorio Sia (11.4.2010) e l’omicidio del medesimo dieci giorni dopo; a distanza di due mesi vengono uccisi i gemelli Vito e Nicola Grattà (11.6.2010); l’omicidio di Salvatore Vallelunga (fratello di Damiano) e il secondo tentato omicidio di Giuseppe Santo Procopio (14.6.2010); l’omicidio di Agostino Procopio avverrà un mese dopo (23.7.2010). «E tutto questo – dice infine Luberto – è nelle mani di un solo magistrato, il dottore Vincenzo Capomolla». Dove per “tutto questo” non si intendono solo le indagini, ma anche tutto quello che sussegue alla loro conclusione. «Soverato è un territorio difficile in cui ancora manca la connotazione forte dello Stato», ha concluso il magistrato. Il 30 luglio sono state sequestrate da parte della Dia e con la collaborazione della Guardia di finanza, beni per circa 80 milioni di euro all’imprenditore vibonese Antonio Castagna, considerato interno alla cosca Mancuso e già indagato nel corso dell’operazione “Black Money”. Anche in questa occasione sono stati sottolineati i sacrifici sostenuti per incidere su un territorio particolarmente ostico come quello di Vibo.
SE GLI OSTACOLI ARRIVANO DALLE NUOVE LEGGI Ma non basta. A margine di una delle numerose conferenze stampa abbiamo chiesto al procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri della tanto discussa riforma del procedimento penale, il disegno di legge “Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena”, ancora in discussione alla Camera, nel quale, al Titolo II – Modifiche al codice di procedura penale – si paventa la norma che costringe il pm a chiedere in modo tassativo il rinvio a giudizio o l’archiviazione entro 3 mesi dalla fine delle indagini, pena l’avocazione del procedimento. La norma prevede che «In ogni caso il pubblico ministero è tenuto a esercitare l’azione penale o a richiedere l’archiviazione entro il termine di tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini o dalla scadenza del più ampio termine di cui all’articolo 415-bis, comma 4. Ove non assuma le proprie determinazioni in ordine all’azione penale nel termine stabilito dal presente comma, il pubblico ministero ne dà tempestiva comunicazione al procuratore generale presso la corte di appello». «Su questo punto è già stato chiaro Rodolfo Maria Sabelli, presidente dell’Associazione nazionale magistrati – dice il procuratore Bombardieri -, poi si pensi che per ogni grosso caso, moltissimo tempo viene assorbito dall’informativa riepilogativa delle indagini. Come si fa a pensare che tre mesi possano bastare».
Secondo Sabelli, in un intervista a Repubblica del 26 luglio scorso: «Oggi il pm ha fino a 2 anni di tempo per investigare, ma poi non ha un termine altrettanto rigido per attendere le informative di polizia, studiare gli atti e fare le eventuali richieste cautelari. Invece questa norma lo costringe a chiedere in modo tassativo il rinvio a giudizio o l’archiviazione entro 3 mesi dalla fine delle indagini, pena l’avocazione del procedimento. In indagini complesse come quelle di mafia, terrorismo e corruzione, solo ascoltare migliaia di intercettazioni, scrivere informative di polizia e le eventuali richieste di misure cautelari, per migliaia di pagine, richiede parecchi mesi. Ipotizzarne solo tre significa amputare le indagini». «Questo comprometterebbe il lavoro di valutazione delle indagini – spiega Bombardieri -, indagini di anni con migliaia di pagine di informativa da concludersi in tre mesi. In una procura in cui ci sono migliaia di fascicoli e pochi magistrati, poi…».
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it