La politica latita e l'ospedale chiude
LAMEZIA TERME Nessuno dei rappresentati politici invitati a partecipare all’incontro sui problemi dell’ospedale “Giovanni Paolo II” di Lamezia Terme, organizzato dal Tribunale per i diritti del malat…

LAMEZIA TERME Nessuno dei rappresentati politici invitati a partecipare all’incontro sui problemi dell’ospedale “Giovanni Paolo II” di Lamezia Terme, organizzato dal Tribunale per i diritti del malato e dal comitato “Salviamo la sanità del lametino” si è fatto vivo. Unico presente, il deputato Sebastiano Barbanti del gruppo Misto. Vuote sono rimaste le sedie della senatrice Doris Lo Moro, capogruppo Pd nella commissione Affari costituzionali e già assessore regionale alla Sanità con la giunta Loiero; dell’onorevole Pino Galati, «eletto in Fi, ora trasmigrato con Verdini a soccorso del governo Renzi – si legge nell’invito dell’incontro –, che nel consiglio comunale sulla sanità ha vantato ottimi rapporti con il ministro della Salute». Vuota la sedia destinata al consigliere regionale Antonio Scalzo, Pd, «già presidente del consiglio regionale, nonché medico dipendente del nostro ospedale», così come vuote sono rimaste le sedie dedicate a Enzo Ciconte, Pd, «già vicepresidente della giunta regionale e da sempre presidente dell’ordine provinciale dei medici» e Domenico Tallini, Fi, «già assessore al personale con Scopelliti». Per quanto riguarda Ciconte e Tallini l’invito, affisso anche su tutti i muri della città, specificava: «A loro dire, Lamezia è nel cuore (e comunque è anche terreno di caccia elettorale)». L’invito, certo, conteneva note piccate, tanto che pare che Galati si sia offeso per quel «trasmigrato con Verdini», e forse tutte queste assenze erano preventivabili. Ad ogni modo, nessuno ha palesato la propria presenza tra i corridoi del “Giovanni Paolo II”. Corridoi silenziosi con ambulatori, quelli per cui è previsto il rientro al sabato mattina, vuoti o quasi. Per Diabetologia pare che vi siano liste d’attesa di 9 mesi, eppure stamattina non si vedevano pazienti.
L’OSPEDALE DESERTO CONTRO LA CORAZZATA DULBECCO «Lamezia Terme – ha detto la presidente del Tribunale per i diritti del malato Concetta Perri – fa parte dell’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro che comprende quattro ospedali. Quello di Lamezia è il più grande, una struttura immensa, vuota». Dismessa per abbandono, secondo quanto è stato affermato nel corso dell’incontro: «La gente comincia ad avere sfiducia nella struttura e si reca a Catanzaro». Di «deserto tra i reparti e gli ambulatori», parla anche Nicolino Panedigrano, presidente del comitato “Salviamo la sanità del lametino”. Il futuro, stando ai conti che riporta il comitato, non si presenta roseo: «Con la nascita della struttura sanitaria Dulbecco – incrocio tra il Mater Domini e il Pugliese Ciaccio – a Catanzaro avremo una corazzata da 730 posti letto che, sommati ai 165 delle tre cliniche private convenzionate, fanno 895 posti letto concentrati nel capoluogo». A Lamezia resteranno 84 posti letto, più i 33 della clinica Michelino, per un’ospedale che è «un finto spoke senza neanche i reparti e i servizi di un ospedaletto di base».
A nulla valgono le ragioni per cui Lamezia meriterebbe più servizi in campo sanitario: la sua centralità territoriale, la vastità dell’hinterland e il numero di abitanti. Non vi sono motivazioni tecniche o geografiche che tengano. La partita è politica e la classe politica latita.
«Lamezia Terme ha dato tanto alla politica ma ha ricevuto molto poco», ha affermato l’onorevole Barbanti mantenendo comunque un atteggiamento diplomatico e parlando di «ottica sinergica con Catanzaro». «Il centro trasfusionale è stato praticamente smantellato – ha continuato Barbanti – nonostante Lamezia si trovi in una zona decisamente centrale e facilmente raggiungibile. Oculistica non è stata ancora attivata, come era previsto. Non si può spogliare un ospedale in un’area come Lamezia Terme».
Toni delusi anche da parte dell’ex consigliere comunale Francesco Grandinetti – anch’egli, a dire il vero, un trasmigrato dal centrodestra alla sinistra – che ha affermato: «I politici che mancano oggi sono persone che guadagnano quasi 1.000 euro al giorno ma per loro noi cittadini non contiamo niente, siamo formiche».
Quella che si propone, ora, è una manifestazione di massa, che riempia teatri e strade, perché “le formiche” mostrino la propria indignazione.
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it