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Il grande ritorno alla prosa di Battaglia e Miseferi

REGGIO CALABRIA «Noi abbiamo deciso che questa non è un’intervista, ma è un interrogatorio». «Senza avvocato, tra l’altro». «Per cui io sono il legale di Miseferi e Miseferi è il mio legale». A qua…

Pubblicato il: 24/02/2016 – 9:10
Il grande ritorno alla prosa di Battaglia e Miseferi

REGGIO CALABRIA «Noi abbiamo deciso che questa non è un’intervista, ma è un interrogatorio». «Senza avvocato, tra l’altro». «Per cui io sono il legale di Miseferi e Miseferi è il mio legale». A quanto pare, l’incontro con Giacomo Battaglia e Gigi Miseferi lascia ben sperare. Barba incolta e capelli lunghi, abituati a vederli in veste di cabarettisti, qui si preparano a interpretare rispettivamente due senza tetto, Armando “Il Principe” Meniconi e Giovanni “Il Terrone” Passalacqua – il primo morto a causa del freddo su una panchina e l’altro dato alle fiamme da alcuni teppisti –, che si ritrovano nell’aldilà in attesa di oltrepassare “la Porta”. Anteprima nazionale che andrà in scena sabato sera, 27 febbraio, al teatro “F. Cilea” di Reggio Calabria, “Dietro la porta”, nuovo spettacolo scritto e diretto da Gianni Quinto, rientra nella stagione teatrale dell’Officina dell’arte. A vederli parlare tra loro – uno più basso e corpulento, l’altro più alto e longilineo – ci si sente spettatori di un continuo sketch. Sulla scena e nella vita, i toni eleganti e discreti di Giacomo, sono bilanciati dalle taglienti (e continue) battute di Gigi. Del resto loro sono così: due artisti che hanno fatto della satira il proprio lavoro. Colleghi e amici dal 1985, adesso si trovano a calcare nuovamente il palcoscenico assieme.
Quello di sabato sarà il vostro grande ritorno alla prosa. Dopo quanto tempo?
«Dodici anni».
Come è stato lavorare a questo nuovo progetto?
«Era un’esigenza che avevamo, perché a un certo punto della tua carriera, superati i 50 anni, senti il bisogno di fare delle cose completamente diverse rispetto a quelle che hai fatto prima. Non è un mettersi alla prova: è che hai la necessità di andare sul palcoscenico in maniera diversa. In questo caso lo facciamo attraverso la prosa e la situazione tragicomica: la satira c’è, ma è accompagnata da fatti di vita reale».
Come vi vedremo in “Dietro la porta”?
«Non siamo i classici Miseferi e Battaglia da cabaret. Qui c’è anche un lavoro d’attore. In questa commedia tragicomica i silenzi e le pause generano risate. In questo spettacolo interpretiamo due barboni morti che sono nella sala d’attesa dell’aldilà di una qualsiasi fede religiosa. È un “non luogo” che potrebbe essere qualsiasi spazio “altro”. Ogni tanto si apre una porta davanti a noi e noi confidiamo di essere chiamati, con la speranza che quello sia il Paradiso, ma questa porta si apre e succedono delle cose che poi scopriremo».
I vostri personaggi sono morti in condizioni terribili: uno bruciato vivo, l’altro per assideramento. Come vi siete preparati a interpretare questi ruoli?
«Siamo andati in giro a vedere come vivono quelli che stanno sotto i ponti; come si vestono; cosa bevono; parlando con qualcuno di loro. Ha destato curiosità il come passassero le loro giornate. Addirittura ne abbiamo visti due che giocavano a scacchi, proprio vicino al Vaticano. C’era anche una signora, che viveva da barbona e che aveva il suo letto proprio sotto le stelle. Siamo andati una mattina e lei stava lavando e sistemando i vestiti come se quella fosse una casa. C’è una parola ricorrente nella commedia che è “invisibili” e che racchiude il tutto. La preoccupazione di questi due uomini nell’aldilà è di non essere invisibili anche dopo la morte».
Fate coppia fissa dal 1985 grazie alla radio e il Bagaglino è stata la vostra scuola. Quanto vi torna questa sintonia utile sul palco?
«In questo ci aiuta il fatto di essere principalmente amici. Nella fase costruttiva esce fuori questa complicità che in teatro è utile: ci guardiamo e capiamo cosa sta pensando l’altro. Noi stiamo vivendo assieme e molti spunti sono saltati fuori durante la cena o sul divano a chiacchierare. Il fatto di stare assieme e conoscerci meglio, non può che far bene al lavoro».
Come è stato essere diretti da un giovane autore e regista come Gianni Quinto?
«Abbiamo lavorato benissimo con Gianni, intanto perché è un giovane autore di 33 anni e poi perché il testo è suo: i personaggi che vede sono quelli che ha immaginato dall’inizio. Noi stiamo solo facendo vivere un suo pensiero. C’è un ottimo lavoro di regia: si richiede molta rigidità e disciplina. Non si sta sul palco a vagare, ma siamo legati a movimenti scenici precisi».
Quanto è importante, per voi che siete reggini, questo debutto nel teatro Comunale della vostra città?
«Questa sarà una prima nazionale. Bisogna ringraziare l’Officina dell’arte che ci ha inserito per primi nel loro cartellone permettendoci di debuttare nella nostra città».
Dove continuerà la vostra tournée?
«Saremo a Bova Marina al teatro “Don Bosco”, il 12 marzo a Bova. Poi il 13 e il 14 aprile andremo a Roma al teatro “Marconi” e il 16 a Cotronei, nel Crotonese».
Quando vi vedremo di nuovo in televisione?
«Quando la televisione tornerà a essere maggiorenne, perché ormai è diventata bimba. Non hanno soldi per il varietà e non ne spendono. Al momento andare a fare la televisione e collocarti in una trasmissione dove non puoi fare quello che sai fare non ci interessa. Se ci dovessero dire di condurre un programma, magari noi saremmo in condizioni di crearlo. Ma se dovessimo entrare in un altro contenitore oggi, non ti saprei dire quale sarebbe. Bisogna cambiare completamente il modo di pensare di fare televisione».
Il tempo a disposizione è finito. La scenografia è già stata allestita per le prove. Gigi e Giacomo si preparano a diventare Giovanni e Armando. Copione alla mano, sotto l’occhio vigile del regista, recitano le ultime battute. Non resta che aspettare sabato sera per scoprire come andrà a finire.

Miriam Guinea
redazione@corrierecal.it

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