COSENZA «Nel rispetto assoluto del lavoro della magistratura e senza voler recedere dai capisaldi della mia formazione politica di scuola garantista, devo, purtroppo, constatare come il quadro che emerge dalla sentenza di primo grado riguardante il processo “Tesi” confermi la bontà di alcune delle scelte del mio gruppo politico inerenti la fine anticipata della consiliatura guidata da Mario Occhiuto di cui tanto si è parlato pur non avendo, in molti, una contezza complessiva della situazione». Lo afferma in una nota il consigliere regionale Ennio Morrone. «Sono indubbiamente dispiaciuto – dice Morrone – sul piano prettamente umano per le persone coinvolte e mi auguro che la vicenda processuale, negli ulteriori gradi di giudizio, vada diversamente. Tuttavia, è necessario operare anche delle consequenziali valutazioni politiche. Poiché, giusto ricordarlo, fra i motivi principali della rottura del rapporto politico col sindaco uscente della città di Cosenza, c’è stata proprio l’inamovibilità dell’ex vicesindaco (Luciano Vigna, condannato a due anni e otto mesi nel processo “Tesi”, ndr) e del suo entourage. Nonostante, in più circostanze, avessimo chiesto una verifica in seno alla maggioranza che contemplava un opportuno avvicendamento in quella postazione che non era, come si vociferava allora, una mera richiesta di “poltrone”, quanto il fondato dubbio relativo alla non totale serenità nella gestione della res publica. Il nostro, giusto ricordare anche questo e per rimanere in tema, fu uno sforzo notevole per garantire stabilità amministrativa in città testimoniato dal fatto che il presidente del consiglio comunale Luca Morrone votò a favore del bilancio col parere contrario dei revisori dovendo persino sottoscrivere un’assicurazione a tutela del suo patrimonio. Eppure, alla fine, non ottenemmo i risultati auspicabili». «Tuttora – conclude Ennio Morrone – non riesco a comprendere le ragioni politiche di quel diniego da parte di Mario Occhiuto che tanto hanno influito sul corso degli eventi, malgrado le motivate e ripetute perplessità mostrate all’epoca, ben prima cioè che il clamore delle aule giudiziarie si facesse sentire».
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