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TSUNAMI RENDE | Condannato per mafia e promosso dal Comune

RENDE Quale sarebbe il provvedimento più adatto per un dipendente comunale sottoposto a misure di sorveglianza speciale? E per uno che ha appena subìto una condanna per reati di mafia? Arrivato al …

Pubblicato il: 26/03/2016 – 9:23
TSUNAMI RENDE | Condannato per mafia e promosso dal Comune

RENDE Quale sarebbe il provvedimento più adatto per un dipendente comunale sottoposto a misure di sorveglianza speciale? E per uno che ha appena subìto una condanna per reati di mafia? Arrivato al bivio tra la sospensione, il licenziamento e la stabilizzazione, il Comune di Rende – nel 2007 – ha scelto la strada del garantismo spinto anche se, stando alle valutazioni della Dda di Catanzaro, avrebbe dovuto spendersi nel verso della legalità.
Altro che la legge per il licenziamento dei fannulloni, a Rende andavano di moda i provvedimenti per la riassunzione dei presunti mafiosi. E la storia di Adolfo D’Ambrosio, trait d’union (presunto) tra la politica e le cosche cosentine, lo dimostra ampiamente.
D’Ambrosio inizia la sua attività di giardiniere per l’amministrazione nel 2002, quando era “soltanto” un 35enne con precedenti per detenzione abusiva di materie esplodenti, ma non ci fanno caso. Il guaio è che nel 2007, quando riprende a lavorare dopo una sospensione, è un condannato per reati di mafia. In mezzo c’è l’operazione “Twister”, una delle pietre miliari dell’attività della Procura antimafia nel Cosentino. Nel 2004, D’Ambrosio finisce in manette e viene sospeso. Il 19 luglio 2007 gli vengono revocati gli arresti domiciliari e diventa un sorvegliato speciale. A quel punto, scrivono i pm della Dda, «il Comune si rende ufficialmente disponibile a riammetterlo in servizio».
Quella decisione arriva «senza alcun ordine emesso in tal senso dall’autorità giudiziaria» e dopo la condanna in primo grado del dipendente a 3 anni e 6 mesi di reclusione (il termine previsto per il licenziamento è due anni), tra l’altro per fatti di mafia. Per i magistrati qualcosa non torna, la decisione dell’ente appare «inusuale», visto che «non erano mutati i presupposti che avevano portato alla sospensione.
In tal modo, per di più, il Comune di Rende «ha consentito ad Adolfo D’Ambrosio (che espletava la sua attività lavorativa all’esterno, essendo “giardiniere”) di potersi muovere liberamente sul territorio e intessere relazioni con altri sodali o soggetti contigui al suo gruppo, che come visto erano anche dipendenti della Rende 2000».
Il fatto è che quello che diventerà il luogotenente del boss Lanzino andava – secondo i pm – «obbligatoriamente sospeso dal Comune di Rende».
Invece, nonostante la condanna riportata, «piuttosto che rifarsi alla possibilità di prorogare lo stato di sospensione fino alla sentenza definitiva del processo penale, il Comune di Rende si determinava nel revocare il precedente provvedimento di sospensione».
Ma c’è di più: Il 17 novembre 2007, dopo una deliberazione della giunta comunale che approvava la sua proposta, il dirigente Valdo Vercillo «formalizzava la trasformazione della posizione lavorativa di D’Ambrosio dal 50% al 66,67% con conseguente innalzamento della prestazione lavorativa da 18 a 24 ore settimanali». Una promozione. Nonostante l’arresto e la successiva misura di sorveglianza speciale. Nonostante la condanna. Quando si dice il garantismo.

Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it

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