Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 19:04
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 13 minuti
Cambia colore:
 

FATA MORGANA | La passione di Romeo per la politica

REGGIO CALABRIA «Io ho un’idea pessima della politica, soprattutto di quella di oggi. Non ho mai avuto molta stima. Io vengo da esperienze e militanze che sono molto prossime a quella dei Cinquestell…

Pubblicato il: 13/06/2016 – 11:20
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
FATA MORGANA | La passione di Romeo per la politica

REGGIO CALABRIA «Io ho un’idea pessima della politica, soprattutto di quella di oggi. Non ho mai avuto molta stima. Io vengo da esperienze e militanze che sono molto prossime a quella dei Cinquestelle di oggi, cioè anti sistemi e antiregime». Ordinovista, missino, secondo i pentiti anche aspirante golpista negli anni del tentato colpo di Stato dell’Immacolata diretto dal principe nero Valerio Junio Borghese, Paolo Romeo non mostra alcun timore di fronte ai pm che lo accusano di essere la mente di una loggia massonica segreta in grado di condizionare la politica e l’imprenditoria cittadina. Al contrario – ammette – «dove ci
sono io divento fulcro». Ed è proprio la sua tracotanza a tradirlo.

LA MANGIATOIA Perché – è costretto ad ammettere l’uomo che ha «un’idea pessima della politica» – alla mangiatoia dei fondi pubblici ha più di una volta attinto o tentato di attingere. In primis, con il circolo Posidonia, i cui bilanci – sospettano i pm, senza che i chiarimenti di Romeo al riguardo riescano ad essere illuminanti – sono confezionati a misura di bando. Ma soprattutto tramite l’associazione Cittadinanza Attiva. Uno strumento per condizionare la politica e le istituzioni secondo la Dda di Reggio Calabria. Solo «una civile partecipazione alla vita sociale», sostiene Romeo. Peccato che in ballo ci sia la città metropolitana e soprattutto la pioggia di milioni che il governo nazionale ha messo a disposizione per la costituzione della nuova creatura amministrativa.

OBIETTIVO CITTÀ METROPOLITANA É lo stesso Romeo a parlare in dettaglio del ruolo di quelle «26, 27 associazioni della città di Reggio Calabria» – che formano Cittadinanza Attiva e regolarmente si riunivano al circolo Posidonia – «e si erano posti in quel momento il problema in anticipo di un provvedimento nazionale che riconosceva Reggio città metropolitana. L’obiettivo di quelle associazioni era quello di svegliare in tempo una classe dirigente non solo politica rispetto ad un’opportunità immensa che veniva data dal Parlamento, un appuntamento rispetto al quale abbiamo quattro anni di ritardo».
Un impegno quasi filantropico – mai politico, che lui da condannato in via definitiva per mafia non avrebbe mai potuto sostenere – e di supporto ad una «classe dirigente in questa provincia impreparata ad affrontare la sfida che nasce dall’istituzione di una città metropolitana».

PROGETTO ANTICO? Sul punto, e forse non da oggi, Paolo Romeo dimostra di avere le idee ben chiare e una concezione definita del nuovo ente. Lui sogna, immagina e progetta «una città- Stato» governata da «visionari». Un progetto probabilmente anche più antico e oscuro di quanto lo stesso Romeo sia disposto ad ammettere, ma che potrebbe essere stato definito in dettaglio nel capo di imputazione contestato allo stesso Romeo, nell’inchiesta palermitana – poi archiviata per ulteriori approfondimenti investigativi – “Sistemi criminali”. Ma al riguardo Romeo glissa.

DAL COMUNE AL PARLAMENTO Del resto, nessuno sembra aver mostrato remora alcuna a riceverlo. O a spalleggiarlo, come l’Associazione industriali, che a suo dire più di una volta gli ha fatto da chaperon. In rappresentanza di Cittadinanza Attiva, o di altre associazioni parallele e gemelle, Romeo ha parlato in Comune, Provincia, Regione e Parlamento. É lui stesso – con malcelato orgoglio – a raccontarlo ai pm. «Noi – racconta – siamo stati anche sentiti dalla commissione al Senato, dalla prima commissione. Noi delegazione della Cittadinanza Attiva. Siamo stati con Pietro Paolo, con l’ingegner Bova ed io assieme all’Associazione Industriali che separatamente è stata pure ricevuta dalla commissione, perché allora chiedevamo un emendamento al Decreto Legge 2012 giacché l’istituzione della città di Reggio Calabria potesse avvenire in anticipo rispetto ai tempi che erano previsti da quella proposta; immaginavamo appunto uno slittamento di due anni per via dello scioglimento del consiglio e dall’Amministrazione Provinciale, tutta questa roba qua».

QUESTIONE DI STAKEHOLDER Aveva fretta Paolo Romeo. L’autonomia e i soldi promessi gli facevano gola, come sembrava fargli gola la possibilità di delineare il futuro del territorio. E per questo ha cercato alleati. «Il patto strategico di una città metropolitana – sostiene – è un patto che deve intervenire tra gli stakeholder del territorio e le istituzioni, perché se no non è patto strategico. Il patto strategico significa pensare a qual è la vocazione del nostro territorio non nei prossimi cinque anni ma nei prossimi cinquanta anni e cominciare a capire rispetto a questo obiettivo da visionari che cosa bisogna fare subito e da oggi per salvaguardarsi rispetto a questo obiettivo. Per costruire tutto questo, significa discutere con la realtà territoriale, con gli interessi, con i portatori di interessi che ci sono sul territorio». Peccato che i principali “portatori di interessi” sul territorio siano i clan e Romeo non sia altro – sostiene la Dda – di uno dei più strategici rappresentanti.

IL DEMIURGO Per questo né pm, né gip credono – e neanche per un momento – a una sola parola del bel discorso preparato da Romeo, tanto meno alla sua asserita trasparenza. «Quando si programma a monte, in un processo di sviluppo è difficile che ci siano interferenze in corso d’opera di poteri malavitosi», pontifica Romeo. Ma nessuno ci casca. Anche perché il vizietto di giocare a fare il demiurgo dei progetti strategici per lo sviluppo della provincia per Romeo è storia antica. Anche ai tempi del decreto Reggio ci ha provato strenuamente. Lo racconta in dettaglio un’inchiesta poi naufragata per gli inspiegabili rimpalli di responsabilità fra Reggio e Catanzaro.

DECRETO REGGIO Lo ammette lo stesso avvocato Romeo, che senza pudore afferma «è la stessa teoria che ho manifestato con forza nel 1990 col Decreto Reggio, quando mi sono opposto fortemente e da qui sono nati poi i miei guai giudiziari nel 92, quando mi sono opposto fermamente ad una gestione centralizzata dei 650 miliardi del Decreto Reggio che erano stati affidati ad una società». Soldi poi lievitati a 800 miliardi, di cui solo una parte è stata data in gestione diretta alla città per colpa – sostiene Romeo – di «un illecito accordo tra D.C. e P.C.I». In realtà – dicono ricostruzioni giudiziarie che non hanno ancora trovato conforto in sentenze, ma sono alla base di diversi procedimenti nati dal filone Olimpia – quello straordinario finanziamento destinato a colmare il gap di sviluppo che separava e separa Reggio Calabria dal resto d’Italia, si è trasformato in un assegno circolare per i clan. E sono stati loro – e i loro rappresentanti – a battagliare per renderne semplice la riscossione.

TUTTA COLPA DEI GIORNALI Bugie, solo bugie per l’avvocato Romeo, che si presenta come vittima di una macchina giudiziaria ingiusta e cieca. «Nel febbraio del 2004 ho subito una condanna che ancora oggimi brucia e ritengo ingiusta, per la quale da tempo sto lavorando, per ricercare elementi nuovi che mi consentano di avviare una revisione di quella sentenza». É arrabbiato invece quando tuona contro quei giornalisti, colpevoli di riportare le dichiarazioni dei pentiti che, nel tempo, hanno collocato Romeo al centro del processo di costituzione delle due logge gemelle chiamate a ridisegnare l’Italia. « Io mi devo difendere da queste carte (ndr. le accuse contenute nell’ordinanza di custodia cautelare Fata Morgana), poi leggo i giornali o vedo i giornali e quello che raccontano, e mi sembra un altro film».

RISPETTO O TIMORE? Un film che in tanti hanno visto e apprezzato se è vero che – ed è lo stesso Romeo ad ammetterlo – più di uno, anche in carcere, ha mostrato nei suoi confronti una deferenza che sfiora il timore reverenziale. « Ma io lo capisco pure tutto questo, perché probabilmente l’idea che le persone hanno di me non è – quelli che non mi hanno freq uentato e che non mi conosco – quella che si sono fatti leggendo i giornali, leggendo i processi». E tutti – lascia intendere – sono infarciti di bugie e fantasie.

«LA POLITICA NON MI HA MAI DISPREZZATO» Chi invece – ostenta con orgoglio – non si è lasciata condizionare dal suo passato, né dalla sua condanna definitiva per concorso esterno, è la classe politica tutta. «Ho finito la mia attività politica in prima persona nel 94, dopo avere cessato l’attività di parlamentare», racconta, poi – come il caso Reggio dimostra e lui stesso ammette – è divenuto – «oggetto di consultazione da parte di una classe politica e dirigente di Reggio, questo è nell’ordine delle cose». E sembra quasi divertito l’avvocato nel sottolineare che «certo, quelli che non sono stati prudenti sono stati tutti questi uomini delle istituzioni che mi hanno dato retta. Io ho avuto antiche relazioni con tutto un mondo politico». Un’affermazione generica, in parte chiarita dalle indagini, ma che tocca all’ingegnere Antonio Idone completare.

L’INVOLONTARIA CONFESSIONE DI IDONE Considerato dagli inquirenti poco più di un pupo di Paolo Romeo, cui stando alle risultanze investigative deve tutta la sua carriera, l’ex manager di Fincalabra, nel corso dell’interrogatorio di garanzia non esita a parlare in dettaglio della rete di politici in rapporti con l’avvocato. Del resto, sostiene «Ritengo e sostengo che Paolo Romeo è un politico lungimirante, uno che ha la malattia della politica, riesce, quando opera nell’ambito politico, che io lo conosco come professionista e come politico, a pianificare quello che avverrà e quindi a mettere a disposizione di quelli che sono i soggetti politici tutta una serie di iniziative». E proprio per questo, spiega, c’era quasi una gara a finanziare le attività del circolo, o quanto meno a prometterlo.

TUTTI IN FILA «Era venuto Nicolò, per venuto Pier Viladi, era venuto tutto il grosso diciamo dell’ufficio di presidenza, perché poi questi sono i fatti veri, del consiglio regionale che doveva deliberare, facevano a gara a chi ci doveva dare cinque mila euro in più. Mi ricordo – racconta Idone a gip e pm – che quando sono andato quel giorno, Viladi mi ha preso per il braccio, dice: sai, i cinque mila euro che vi stiamo dando di più sono merito mio. Cioè, questa è questa terra, questa è questa Regione, questa è la nostra classe politica, purtroppo». Ma la rete di Romeo non si estendeva alla Regione, erano in tanti, in diversi enti, a prostrarsi ai suoi desiderata.

ORDINI «Ho assistito tante volte all’Avvocato Romeo o ad altri, che erano assessori, che telefonavano o al sindaco dell’epoca o all’assessore o al Presidente Raffa per dirgli: sai, facci quella delibera perché se non abbiamo quella delibera non possiamo assumere l’impegno di spesa e la manifestazione saltava». Certo – afferma – non tutti hanno mantenuto quelle promesse, anche se «la maggior parte delle cose sono state pagate». Ma all’appello dell’avvocato hanno risposto tutti.

BENEFATTORI «Se Lei mi chiede quale finanziamento ha ottenuto il circolo io – afferma Idone – in maniera generica, le dico: li ha ottenuti da Comune, da Provincia, da Regione e li haottenuti da Vincala (ndr Fincalabra) o li ha ottenuti da qualche altra istituzione, che però non conosco. E qualche cosa,qualche cosa modesta, credo, perché i privati intervenivano non con danaro ma con la coppa oppure qualcuno diceva: fate questa locandina, ve la stampo io e poi pagava il privato direttamente».

LA PASSIONE DELL’AVVOCATO PER LA POLITICA Ma con la politica c’era un rapporto simbiotico. Anche perché quello è un mondo a cui Romeo non ha mai voluto rinunciare, nonostante la condanna definitiva per mafia glielo abbia inibito. Un progetto di cui Idone, storico collaboratore di Romeo, ha sempre fatto parte. E che finisce per svelare agli inquirenti, mandando in fumo gli sforzi dell’avvocato di far passare le attività del circolo Posidonia e delle associazioni ad esso collegate come mere “iniziative civiche e sociali”.

CAMBIA IL MONDO, CAMBIA IL METODO «Per anni ci siamo occupati di attività politica, ci siamo occupati dei partiti a livello regionale e comunale», spiega Idone, «quindi a un certo punto ci siamo resi conto che essendo modificato il sistema politico, cioè, non esistendo più i partiti, e quindi non esistendo più né l’ideologia né l’appartenenza, noi facevamo eleggere Lei, io, lui. Il giorno dopo andavano a farli i loro accordi e trasmigravano. C’era il mercato delle vacche, sappiamo cosa è. Certo, Lei sa a cosa mi riferisco. E io posso fare i nomi, posso elencarli di quelli».

TATTICHE Nè pm, né giudici lo invitano ad approfondire, rimandando probabilmente la discussione sul punto ad altra occasione, ma per loro l’entusiastica affermazione dell’ex manager di Fincalabra è una confessione in piena regola. Per la Dda, da tempo Paolo Romeo è il deus ex machina della politica locale e non solo, per decenni piegata ad interessi di loggia e di ‘ndrangheta. Una tattica – sembra confermare involontariamente Idone – che nel tempo si è evoluta. «Ci siamo resi conto che perdevamo tempo rispetto a organizzare un partito, fare sacrifici, candidarli, fare una campagna elettorale, metterci dei soldi, perché in ognuna di queste cose personalmente ci ho sempre messo dei soldi. Però ho detto: è una passione, non avevo altri hobby, pendevo per questa cosa. E lì di avere detto: perché non facciamo una associazione culturale, ci siamo detti, no?». Così è nata l’Igea.

LO STRUMENTO IGEA «Invece di fare i programmi per i politici e perdere tempo, facciamo i programmi con associazioni di fuori. Il dottore Musolini è eletto consigliere, convinciamolo: guarda, c’è questo programma, ci sono questi soldi, te ne vuoi occupare nell’ambito… Pensi che l’amministrazione se ne possa fare carico?». In sintesi, un modo per condizionare la politica dall’esterno, senza perder tempo a costruire campagne elettorali vincenti, ma passando subito all’incasso con gli eletti ritenuti “sensibili”. Ma della struttura, Romeo – almeno formalmente – ha deciso di non far parte. «Ci presentavamo con le istituzioni, non volevamo insomma che da nessuna parte emergesse, perché poi qua una volta che… le condanne sono condanne, non è che le puoi, al di là di quello che pensi di una persona..». Il pm insiste, Idone ci gira attorno e poi solo alla fine si spiega: la condanna era inibitoria di una partecipazione formale di Romeo, ma lui è stato sempre e comunque l’anima dell’associazione.

PUPI Del resto, la politica è sempre stata il suo pallino. E nel tempo, non ha esitato a indirizzare questo o quel candidato che a lui si è rivolto. «Paolo Romeo non andava a trovare la pubblica amministrazione. Ogni volta che c’erano elezioni, tutti quelli che si volevano candidare venivano a chiedergli il consiglio. Dice: con chi mi candido? Quale è la prospettiva, chi pensi che vince?Io ho assistito a centinaia di questi». Destra, sinistra, all’avvocato – dice l’ex manager di Fin calabra – si rivolgeva «tutto l’arco costituzionale». Motivo? Per Idone, tutto si deve alla straordinaria capacità di Romeo di presagire il corso degli eventi e di coinvolgere chiunque in programmi e progetti.

ELETTO SENZA MAI CHIEDERE UN VOTO «Paolo – racconta – lo pigliava e lo faceva diventare, gli faceva già vedere il seggio, gli diceva: scegliti la tua forma di assessore, qual è che ti piace?». Poi venivano eletti e da Romeo tornavano in attesa di istruzioni, lascia intendere Idone. Per anni, rivela, «Paolo Romeo è stato eletto senza mai andare a chiedere un voto a nessuno. Cioè, Paolo Romeo faceva le campagne elettorali su progetti». Progetti che la Dda considera espressione dei desiderata di una loggia massonica segreta che ha sempre favorito la ‘ndrangheta.

Alessia Candito
a.candito@corrierec al.it

Argomenti
Categorie collegate

x

x