REGGIO CALABRIA Quarantatré quesiti evasi – e neanche tutti – in quasi due anni di indagine. Quarantatré domande che – in larga parte – hanno fornito nuovi spunti d’indagine al pm di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. E forse anche involontarie conferme. Se non nell’immediatezza dell’arresto, l’ex ministro Claudio Scajola non si è mai sottratto alle domande dei magistrati. Dopo aver rifiutato di rispondere all’interrogatorio di garanzia, il 16 maggio 2014 per sette ore ha parlato con il pm Lombardo e il sostituto procuratore della Dna, Franco Curcio, volati a Roma, nel carcere di Regina Coeli per ascoltare la sua versione. Ma di fronte alle sue risposte gli inquirenti non si sono fermati. Al contrario, hanno chiesto alla Dia di verificare se e in che misura quel giorno Scajola avesse detto la verità.
VERITA’ PARZIALI? Non tutte le loro domande hanno trovato risposta e – forse – non sempre i riscontri trovati sono sembrati esaustivi agli inquirenti. Ma secondo quanto emerso dalle indagini della Dia, oggi riferite in aula dall’ispettore Antonino Dell’Arte, in molti casi l’ex ministro avrebbe raccontato solo una verità parziale. Un tentativo – ipotizza la Dda reggina- di ridimensionare il suo ruolo nella gestione della latitanza dell’ex deputato di Forza Italia, Amedeo Matacena, cui Scajola avrebbe voluto procurare un comodo asilo politico in Libano. Un progetto a cui – sostiene il pm Lombardo – l’ex ministro e la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, lavoravano da tempo e che proprio alcuni elementi scovati dalla Dia sulla base di quanto chiarato dall’ex ministro in sede di interrogatorio sembrano confermare. È il caso – ad esempio – dei frenetici contatti con una serie di legali – incluso l’avvocato Bondi, mentore politico e storico difensore di Matacena – individuati dalla Dia tra il 25 agosto del 2013 e la data di esecuzione dell’operazione che avrebbe portato in carcere Scajola e gli altri. Allo stesso modo, ha interpretato la Dia le numerose conversazioni fra Scajola e l’avvocato Berruti. Ex finanziere un tempo impegnato nelle indagini su Silvio Berlusconi, dopo il congedo dalle Fiamme Gialle ha fatto fortuna proprio nell’universo berlusconiano, tanto finanziario, come politico, per inciampare poi in una serie di indagini per riciclaggio e altri reati. Stando a quanto dichiarato da Scajola, in quei mesi l’ex ministro lo avrebbe consultato solo per «chiedere a cosa Matacena sarebbe andato consegnandosi», ma – emerge dal suo cv – Berutti ha scalato posizioni di carriera come avvocato civilista. D’altra parte, ha sottolineato Dell’Arte su sollecitazione del pm, dalle conversazioni passate in rassegna dagli investigatori, emergeva in modo chiaro che Rizzo fosse perfettamente a conoscenza di quei contatti.
COINCIDENZE Del resto, nonostante i tentativi di minimizzazione, dalle indagini della Dia è emerso in modo chiaro come conoscenza e contatti fra Scajola e i coniugi Matacena fossero risalenti nel tempo, nonostante gli scivoloni giudiziari del politico armatore. A suggerirlo, ci sono anche le foto che attestano la contemporanea presenza dei tre a diversi incontri più o meno mondani avvenuti ben prima della telefonata successiva all’arresto di Matacena, che a detta di Scajola segna l’inizio del suo rapporto con la Rizzo. Ugualmente, agli occhi del pm è sembrato tutto fuorchè casuale che Daniele Santucci, socio del figlio di Scajola, si affrettasse a comprare i biglietti e organizzare un viaggio alle Seychelles, proprio nel periodo in cui – per ammissione dello stesso ex ministro – Matacena transitava da quelle parti. Per Scajola, solo casualmente avrebbe saputo delle vacanze dell’imprenditore e lo avrebbe riferito alla Rizzo perché «questa circostanza, che poteva essere utilizzata per la apertura del conto corrente in quello Stato. È questo il motivo del contatto». Peccato però che i curiosi riferimenti alla “mamma” ascoltati nel corso di quella conversazione per inquirenti e investigatori non siano che un maldestro tentativo di occultare il nome di Matacena.
SPEZIALI Rimane invece il mistero sui contatti fra Scajola e Vincenzo Speziali, imprenditore di origine catanzarese, nipote dell’omonimo ex senatore del Pdl, oggi latitante a Beirut perché ritenuto il fondamentale punto di contatto con le istituzioni libanesi, che avrebbero dovuto procurare documenti e lasciapassare a Matacena. Le norme sulla distruzione dei tabulati telefonici non permettono infatti di sapere se l’ex ministro e Speziali fossero in contatto prima del giugno 2012, dunque negli anni in cui Scajola ricopriva incarichi di governo. Di certo, diverse volte Scajola lo ha incontrato a Roma. E quanto meno in un’occasione non era da solo. Ad accompagnarlo c’erano l’allora deputata Marilina Intrieri ed Emo Danesi, deputato della Dc prima di essere sospeso dal partito nei lontani anni 80 perché massone e piduista, di recente riciclatosi come imprenditore che orbita nella galassia delle grandi partecipate di Stato.
L’OMBRA DI DELL’UTRI Di una cosa però alla Dia sono certi: Speziali era in contatto con Marcello Dell’Utri nei mesi di latitanza. Un elemento che si incastra perfettamente nel complesso mosaico costruito in anni di indagini dalla Dda di Reggio Calabria, secondo cui un intero network politico, finanziario e criminale si sarebbe attivato per salvare Matacena, insostituibile elemento di raccordo fra l’universo della ‘ndrangheta e il mondo della politica. Un ruolo sovrapponibile – ipotizzano i pm – a quello di Dell’Utri. Come Matacena e prima di lui soccorso dal medesimo network dopo una condanna definitiva per mafia.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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