Sulla vittoria per il sì al referendum costituzionale del prossimo mese di ottobre si gioca la partita più importante per il futuro del Paese. È quanto affermato (aggiungo: correttamente) dal segretario regionale del Pd Ernesto Magorno all’indomani della disfatta elettorale alle amministrative.
Nonostante ciò, nessuno del SÌ riflette sui tanti errori commessi sino ad oggi in termini di impostazione della campagna referendaria. Una defaillance non riscontrabile, invece, nei sostenitori del NO che vanno diritti per la loro strada, pur fondando il loro convincimento, quasi esclusivamente, sulla pericolosa (dicunt) combine che verrebbe a determinarsi tra l’Italicum a regime e il testo costituzionale revisionato. La soluzione alla contesa potrebbe essere pertanto la modifica dell’attuale legge elettorale, peraltro conveniente per il Pd, stante l’esuberante ascesa del M5S. Come si diceva, troppi errori da correggere, riguardanti l’impostazione strategica della campagna referendaria, gli argomenti (che non emergono) e la squadra (che non c’è).
Impostazione strategica della campagna referendaria
Supporre di convincere i cittadini demonizzando e demolendo le ragioni del NO sarebbe uno sbaglio colossale. La contesa, tra l’altro, si sposterebbe tutta sulla permanenza o meno del premierato di Renzi. Il NO compie una battaglia meramente ideologica fondata principalmente sulla modalità «ideale» di revisionare la Costituzione. Gioca sulle emozioni che suscita il ricordo dei vari Terracini, Pertini, De Gasperi, Togliatti, Nenni eccetera al lavoro per sollevare il Paese e la nazione dai disastri della guerra e dalle lesioni di libertà, simbolo delle prevaricazioni fasciste. Mettendo tutto questo patrimonio politico-culturale a improprio confronto con la modalità attuale, peraltro la stessa frequentata nel 2001.
Il NO punta tutto sul vulnus di democrazia rappresentativa e sulla deriva autoritaria che potrebbe conseguire dall’applicazione delle regole dell’Italicum, che consentirebbe al vincitore di disporre del governo e del Parlamento a suo piacimento (dicunt).
La campagna referendaria del SÌ non può, pertanto, essere espressione di una scelta difensiva, limitata a contraddire le motivazioni del NO. Occorre piuttosto che venga improntata a spiegare le ragioni del SÌ a tutta la cittadinanza con una attività massiva e una presenza costante e quotidiana nella società civile, coinvolgendo tutti nel confronto, dai nonni ai nipoti. Un po’ come si faceva una volta nel mio partito ove ogni occasione era buona per discutere di politica, fosse anche la distribuzione domenicale de «L’Unità». Di quella politica che nel 1976 portò il Pci ad attestarsi al 34,4% nelle politiche, con il primo voto ai diciottenni, nonostante una Dc sostenuta dalla Chiesa, impegnata a difendere il verosimile sorpasso, conseguito alle successive europee con il 33,33% dei consensi contro il 32,97%.
Dunque, nei grandi appuntamenti (e questo lo è) è necessario mettere in campo tutto ciò che si ha. Ed è proprio questo il problema dell’attuale centrosinistra. Accusa difetti strutturali: l’incapacità di fare gruppo con la collettività; la sua militanza andata in tilt; l’occupazione perenne delle posizioni dirigenziali da parte dei prepotenti, che hanno fatto della politica il loro lucroso mestiere. E ancora. La perseveranza delle bande che l’attraversano, che sfiducia chiunque ad avvicinarsi troppo. Tutto questo ha fatto sì che si realizzasse un sostanziale scollamento tra i cittadini e l’esercizio della delega rappresentativa, tanto da renderli assenti (molto) giustificati dalle urne ovvero conquistate dalle grida, in via di acculturamento politico, dei Cinquestelle.
Il referendum di ottobre deve costituire l’occasione per la rinascita organizzativa del Pd a cura di chi ancora crede alla democrazia praticata e alla questione morale, simbolo di quel partito (il Pci) capace di espellere il marcio e di curare le piazze attraverso i suoi militanti. Ciò è quanto occorre al Pd per affrontare questo importante appuntamento referendario. Al medesimo necessita dunque un esercito di pasionarie e appassionati della buona politica attrezzato delle giuste conoscenze per credere prima che convincere la collettività a dare il proprio consapevole consenso al novellato testo costituzionale, approvato – si badi bene – dal Parlamento in complessive sei letture.
Gli argomenti
Le cose da dire sono «materia difficile», inadatte per una diffusione di massa. Tante le sfaccettature da tenere in debito conto, soprattutto se interessati solo a confutare le ragioni dell’avversario, impegnato in teoremi ideologici che metterebbero in pericolo il vivere civile democratico. Percorsi dai quali occorre mantenersi a giusta distanza, atteso che si genererebbero difficoltà insormontabili nel contraddirle, stante anche l’evanescenza di alcune teorie propinate in giro.
Le cose da dire sono poche e semplici. Con il SÌ vincente, si conseguono infatti tre macro-risultati:
– l’abrogazione delle Province come incipit del prossimo riordino coordinato delle autonomie territoriali, funzionale a dare concretezza alle Città metropolitane, ordine al sistema municipale e avviare un discorso sulla riforma delle Regioni, attesa la opinione che diventa sempre più diffusa di volerle cancellare dall’ordinamento o quantomeno aggregarle in poche macroaeree;
– il nuovo modo di fare finalmente le leggi con la dovuta certezza, nel senso che lo Stato e le Regioni sappiano cosa fare in proposito. Il concentramento nello Stato dei settori più sensibili costituisce la garanzia dell’erogazione uniforme dei servizi pubblici e delle prestazioni essenziali, del tipo la sanità e l’assistenza sociale;
– una nuova disciplina in materia di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario che si renda strumento, disciplinato in esclusiva dallo Stato e quindi sottratto agli umori regionali, a tutela dell’uniformità dei finanziamenti – per esempio – degli enti locali e della perequazione dei territori più poveri.
In buona sostanza, occorre informare i cittadini sulle cose concrete che il testo revisionato determinerà, del tipo: la macchina pubblica funzionerà meglio o peggio di prima? Sulla base dei loro maturati convincimenti in tal senso i cittadini sapranno decidere favorevolmente per il SÌ.
La squadra
Per formarla occorrerà mettere in piedi un percorso «didattico» da organizzare e rendere funzionante nella contestualità con la campagna referendaria. Comprendere l’evoluzione normativa che il testo costituzionale determinerà non è cosa facile. Ancora più difficile è stabilire cosa dire. Ciò ovviamente al fine di trasmettere agli altri la necessaria conoscenza per decidere nel massimo della consapevolezza.
Dunque, una «scuola per il SÌ» nelle sedi politiche e una squadra incaricata di curare per strada il proselitismo nella massima comprensibilità sono le soluzioni per pervenire ad un SÌ convinto e utile al Paese e alla Nazione (la stessa Nazione che ha bisogno di esigere i diritti e non già di un proprio partito, peraltro sonoramente bocciato dagli elettori!).
*docente Unical
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