REGGIO CALABRIA «Un uomo avido e con un insaziabili appetiti economici». Così veniva descritto dai suoi stessi sodali Lino Pizza, il faccendiere calabrese scoperto al centro del gigantesco sistema corruttivo che sembra lambire addirittura la famiglia Alfano. Calabrese d’origine, ma romano d’adozione Lino è il fratello del ben più famoso ex sottosegretario Giuseppe, anche lui indagato nell’inchiesta romana per aver messo a disposizione i suoi conti correnti per transazioni illecite.
QUEI RAPPORTI IN SALSA DC Dal 2008, i due sono il nome e il volto della vecchia Dc – strappata a suon di ricorsi ad altri aspiranti eredi – che traghettano dal centrodestra al centrosinistra a seconda della tornata elettorale. Negli ultimi anni, almeno ufficialmente, hanno raccolto poco in termini elettorali. Ma questo non ha impedito loro di coltivare conoscenze, amicizie e rapporti privilegiati con personaggi con ruoli di vertice in enti e società pubbliche – Inps, Inail, Enel, Poste Italiane, Consip – e perfino nei ministeri della Giustizia e dell’Istruzione. Un capitale di contatti che Lino Pizza ha speso presso imprenditori orbitanti nel mondo degli appalti pubblici, proponendosi – a caro prezzo – come intermediario per aggiustare gare o rapporti con la pubblica amministrazione.
METODO Un vero e proprio lavoro per Pizza, che si è sempre dovuto assicurare che ci fosse il funzionario giusto al posto giusto. Per questo, nel tempo ha dovuto coltivare e curare i legami «con influenti uomini politici, spesso titolari di altissime cariche istituzionali», cui non ha mancato di soffiare all’orecchio dirigenti e funzionari da promuovere o collocare ai vertici degli enti e delle società pubbliche. Un metodo per accumulare crediti in uffici chiave, in modo da poterli spendere al momento giusto, per l’imprenditore giusto e per la gara indicata.
LA CHIAVE NEL SALOTTO? Dalle carte della Procura di Roma non emerge come tali importantissimi e strategici contatti siano nati e come siano stati nel tempo coltivati. Altre indagini e altre Procure hanno però monitorato per lungo tempo l’affollato salotto di Giuseppe, fratello sottosegretario del faccendiere, che dopo aver lasciato il suo incarico al ministero ha convertito la propria casa in uno dei grandi centri di potere di Roma, frequentato da politici, ex capi di stato stranieri, boiardi di Stato, imprenditori che vivono di commesse pubbliche, segretari di partito in carica o ex, e varia altra potente umanità. Da quelle parti, bazzicava spesso – hanno detto i tanti che lo frequentavano- anche Lino. E chissà che proprio lì non abbia incontrato molti dei suoi referenti. Sarà – probabilmente- l’inchiesta a dirlo.
LA BORSA DELLA CORRUZIONE Nel frattempo, è emerso in modo chiaro cosa quei contatti abbiano procurato a Lino Pizza. Il suo studio – o meglio, quello che Sergio Orsini gli ha graziosamente concesso in maniera totalmente gratuita – era diventato una vera e propria “borsa” degli interventi illeciti, con tanto di transazioni. Era lì che Pizza illustrava i suoi servigi – nomine pilotate, assegnazione degli appalti, diplomazia imprenditoriale, consensi elettorali – e riceveva i lauti compensi, poi occultati e smistati fra diversi beneficiari.
CARTIERE BANCOMAT Un burattinaio avido tanto di potere come di denaro, gratificato regolarmente con – scrive il gip – «consistenti rimesse di danaro dai conti delle società cartiere, utilizzate per i fittizi subappalti nel settore delle commesse pubbliche, nonché percentuali dei compensi percepiti dal gruppo con riferimento alle attività illecite svolte dalle altre società cartiere». Peccato che le cartiere non svolgessero alcun lavoro. Si limitavano a emettere false fatture, in cambio delle quali ricevevano sostanziosi accrediti società appaltatrici, poi girati a Pizza, al suo socio Orsini o a soggetti a loro strettamente collegati, come l’ex sottosegretario Giuseppe. Transazioni rese possibili da un dipendente infedele della Bnl, anche lui reclutato alla corte di Lino Pizza.
POTERE REALE E Pizza, per ragioni non ancora del tutto chiare, era uomo dal potere concreto e reale. Lo dimostra quello che succede quando lui e i suoi iniziano a temere di essere finiti nel mirino di inquirenti e investigatori. Quando la polizia valutaria bussa alla porta dei loro uffici con un decreto di perquisizione, nel gruppo inizia a serpeggiare il panico. Ma è proprio il faccendiere calabrese, con l’aiuto del parlamentare Ncd Marotta, a prendere in mano la situazione. Pizza mobilita tutte le sue conoscenze e risorse per acquisire informazioni riservate sulle indagini, tenta di avvicinare gli investigatori per blandirli, costituisce immediatamente un collegio di difesa di professionisti in rapporti con la Procura e a suo dire in grado di ” ammorbire” le indagini.
IL SACCHEGGIO A svelarlo, sono le conversazioni dei sodali di Pizza, che lamentano un vero e proprio saccheggio ” economico” da parte del faccendiere. Insieme a Marotta, si professa in grado di orientare in senso favorevole le indagini e pretende di essere pagato per questo. Del resto, qualche “servizio” riesce ad assicurarlo. Ben prima che fosse noto, ai suoi sodali – come lui indagati – fornisce notizie estremamente precise. Lo rivela Sergio Orsini, che intercettato dice «a lui hanno garantito che la “cosa nostra è già chiusa…m’hanno detto che è chiusa perché c’ha pensato l’amico tuo quindi…me sbaglio?…io almeno…ha detto lui (n.m.i.) che c’ha messo le mani Lino (Pizza)».
NOTIZIE RISERVATE Allo stesso modo, grazie a Pizza, Orsini sapeva dell’esistenza di due filoni d’indagine. «Guarda – dice all’interlocutore, parlando dell’inchiesta in corso – che è associazione per delinquere per cui è…l’altro filone…”…dice “…associazione per delinquere te parte da tre persone…e riciclaggio». Una prova – insieme alle continue bonifiche cui lui e gli altri sottoponevano i rispettivi uffici, come alle cautele adottate prima dell’arresto – della capacità di Pizza di violare il segreto istruttorio e informare i suoi. Anticipazioni che non sono riuscite a intralciare l’inchiesta della procura di Roma che li ha fatti finire in manette, ma che non ha ancora svelato come un anonimo sessantacinquenne di Sant’Eufemia d’Aspromonte sia diventato uno degli uomini più potenti di Roma.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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