ROMA «Quella contro di me è un’accusa sconvolgente e ingiusta». «Io sono innocente e non ho mai svenduto il mio ruolo di parlamentare», «né ho mai stipulato patti con la criminalità organizzata». Il senatore di Gal Antonio Stefano Caridi si difende così, nell’Aula di Palazzo Madama, da tutte le accuse che gli sono state mosse dai magistrati di Reggio Calabria che ora chiedono il suo arresto perché lo considerano al vertice di una Cupola segreta di ‘ndrangheta.
«Mi si accusa di aver fatto parte di una sorta di componente apicale e segreta della ‘ndrangheta, pur senza indicare un fatto, uno, che dimostrerebbe questa infamante accusa. In quasi venti anni di indagini i fatti dimostrativi del ruolo che mi viene addebitato, così fondamentale, sarebbero infatti l’ assunzione di sei persone in una società controllata dal Comune, ovvero la circostanza, narrata ma non dimostrata in alcun modo, secondo la quale avrei assicurato le cure di un medico – non io ma una persona diversa da me – ad un latitante. Mi si accusa di aver avuto da sempre l’appoggio elettorale delle cosche, eppure si dimenticano quelle tornate elettorali, nel 2000 e nel 2005, in cui non sono neppure riuscito ad essere eletto ovvero ho raccolto un numero di voti inferiore a quello di altri candidati proprio nei paesi in cui, storicamente, le famiglie di ‘ndrangheta hanno un ruolo dominante. Che logica c’è in questo? Come è possibile comandare le cosche, influire sulle elezioni e poi perderle?», afferma in Aula il senatore calabrese. «Mi si accusa di aver fatto parte, addirittura, stabilmente della cosca De Stefano-Tegano per il tramite di una persona, Chirico, con il quale i rapporti sono interrotti da oltre 12 anni. Mi si accusa, specificamente, di aver concordato con la “cosca Pelle” l’appoggio elettorale, per un incontro che sarebbe durato, secondo gli inquirenti, 180 secondi, ma si cancellano gli esiti di altri processi che hanno verificato che a San Luca, il paese di quella famiglia, ho preso meno voti di tutti gli altri candidati. Si dimentica che in casa di uno degli esponenti di vertice di quella famiglia una microspia ha registrato per un periodo di tempo lunghissimo tutte le conversazioni con persone che per questo sono state processate, e condannate, ma mai la mia presenza, la mia voce. Si dimentica che su tutte le tornate elettorali che si sono svolte in Calabria negli ultimi anni sono state effettuate indagini e celebrati processi, scandagliando tutte le pieghe più recondite dei rapporti tra il potere politico e gli ambienti criminali senza mai trovare alcunché di serio da contestarmi», afferma ancora Caridi.
LE VERITÀ DELL’INCHIESTA Un appello accorato, quello senatore. Che va messo a confronto con i racconti di pentiti e dichiaranti che parlano di un Caridi «rapace» nel pretendere di gestire assunzioni sotto elezioni e munifico nel regalare lavoro e appalti a imprese di ‘ndrangheta. La ricostruzione dei magistrati della Dda di Reggio Calabria, accolta e approvata dal gip, sulla base di indagini meticolose descrive Caridi come strumento di Paolo Romeo, fin da quando si è reso necessario controllare il neo sindaco Giuseppe Scopelliti, in un momento storico fondamentale per la città di Reggio Calabria e per i clan che la abitano: i primi anni Duemila, quando hanno visto la luce le società miste, quando sono arrivati a pioggia i fondi del Decreto Reggio, quando è stato varato un gigantesco piano di opere pubbliche. Tutti business per i clan, hanno dimostrato le inchieste degli ultimi anni, che hanno svelato come ogni prospettiva di sviluppo sia stata piegata agli interessi della ‘ndrangheta.
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