Lo Stretto di Messina è sempre stato un luogo del mito. Questo tratto di mare ha sempre avuto qualcosa di particolare da raccontare alle generazioni che si sono susseguite sulle sue sponde. E la saga del Ponte ha anch’essa radici antiche.
A quanto ne sappiamo, il primo tentativo di costruzione di un attraversamento stabile dello Stretto risale al 251 a.C. Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, ci racconta del tentativo fatto dal console romano Lucio Cecilio Metello di far attraversare lo Stretto su un ponte di barche e botti – secondo una consolidata tradizione romana – ai 140 elefanti sottratti al generale cartaginese Asdrubale dopo la battaglia di Palermo.
Oggi , dopo 2000 anni, abbiamo la certezza che il Ponte non è una priorità per la Calabria; che molto probabilmente non è utile allo sviluppo della Regione, ma anzi che è potenzialmente dannoso.
Il Ponte non serve alle comunità locali; non è strategico per gli spostamenti di lunga distanza; difficilmente si autofinanzierà. Soprattutto, il Ponte non è funzionale al modello di sviluppo dell’area dello Stretto. La Calabria e la Sicilia, se vogliono avviare processi virtuosi di sviluppo, devono puntare sulle loro risorse territoriali e sulle vocazioni caratteristiche degli ambiti locali; devono innescare processi endogeni, valorizzando le loro molteplici ricchezze sia ambientali che storico-culturali. Oltre che inutile e diseconomico, questo Ponte sembra anche sostanzialmente legato a una filosofia vecchia e arretrata dello sviluppo: una filosofia che non tiene conto dell’evoluzione e della complessificazione del sistema economico contemporaneo, e che continua a proporre ricette vecchie per la soluzione dei problemi, quando invece bisognerebbe agire rapidamente con strumenti nuovi e adeguati ai tempi.
I risultati della valutazione complessiva fanno emergere troppe criticità, troppi dubbi irrisolti, le risorse finanziarie necessarie alla costruzione del Ponte, poi, non sono disponibili oggi, né lo saranno in futuro.
La realtà è che, malgrado i trent’anni e più di studi e progettazioni per i quali la Stretto di Messina SpA ha beneficiato della generosa munificenza di diversi governi, sul Ponte abbiamo molte idee frammentarie e poche certezze, molte ipotesi e pochi punti fermi. Esaminiamone alcuni.
Uno dei dubbi più grossi riguarda la possibilità di far passare i treni sul Ponte. Non a caso i giapponesi hanno scelto di non far passare i loro treni sul Ponte di Akashi-Kaikyō, che è stato realizzato con la stessa tecnologia costruttiva prevista per il Ponte sullo Stretto, ma che è lungo circa la metà di quest’ultimo. Senza un progetto esecutivo, come facciamo a trasformare in certezza la possibilità del passaggio dei treni? Il ponte è soggetto a oscillazioni trasversali proprie della struttura, a dilatazione termica, alle oscillazioni indotte dal vento. È davvero possibile far passare i treni, tenuto conto che queste dilatazioni e oscillazioni sono nell’ordine di metri? La mia opinione è che i treni non possano passare sul ponte.
E ancora: quanti saranno i giorni di chiusura a causa del vento? Più di cento sostiene qualcuno. Ma se anche fossero di meno, già la sola possibilità impedisce di dismettere le navi.
L’opera sarà effettivamente in grado di resistere a un sisma di 7,2 gradi della scala Richter? E se il sisma avesse una magnitudo maggiore, come si comporterebbe la struttura? Se il sisma si verificasse in fase di costruzione, quale sarebbe la soglia di sicurezza? Ogni anno nel mondo vi sono più di cinque eventi sismici con magnitudo maggiore di 7,2 gradi della scala Richter e ciò che sappiamo sul ponte di Akashi colpito da un sisma in fase di costruzione non ci lascia affatto tranquilli. A seguito del sisma infatti le due torri si allontanarono di un metro e solo il fatto che l’impalcato non era stato ancora montato ha evitato danni maggiori.
I documenti in nostro possesso non permettono di fugare i numerosi dubbi sull’opera; questa appare in molti punti avvolta da una cortina di nebbia che non permette di apprezzarne i contorni effettivi. Decidere senza un progetto esecutivo sarebbe un azzardo, una forma molto perversa di moderna roulette russa; ma a soccombere, in caso di evento calamitoso, sarebbe un intero territorio.
Il Ponte è un annuncio perenne, che ha generato un considerevole impegno di spesa pubblica (improduttiva – 600 milioni di euro); che crea aspettative (lecite e illecite), visioni e sogni di sviluppo, è un inutile spreco di denaro pubblico che tra l’altro produce, in un periodo di risorse scarse, un effetto di spiazzamento sugli altri investimenti. Investire sul Ponte significa precludere la possibilità di fare altri interventi infrastrutturali più urgenti e prioritari. Non è affatto vero che il Ponte sarà l’investimento che trascinerà il sistema infrastrutturale del Sud; sarà piuttosto l’intervento che impedirà altri interventi più utili e anzi prioritari, e che non potrebbe fare altro che collegare due deserti. In un periodo di crisi e di sacrifici come quello che stiamo attraversando la gente non è più disposta a credere alle favole. Abbiamo bisogno di infrastrutture che servano bisogni semplici della popolazione, ma tremendamente reali, come quello di non rischiare la vita a causa di una violenta pioggia.
*Docente Università Mediterranea
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