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LEX | Laureana feudo dei clan

REGGIO CALABRIA È una storia di vessazione quasi feudale di un territorio per anni strappato alle regole dello Stato democratico e consegnato al regime dei due clan che lì hanno per troppo tempo regn…

Pubblicato il: 03/11/2016 – 14:21
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LEX | Laureana feudo dei clan

REGGIO CALABRIA È una storia di vessazione quasi feudale di un territorio per anni strappato alle regole dello Stato democratico e consegnato al regime dei due clan che lì hanno per troppo tempo regnato, quella raccontata dall’inchiesta Lex della Dda di Reggio Calabria. A Laureana di Borrello comandavano loro. «Questo piccolo microcosmo sconosciuto ai più – dice il procuratore Gaetano Paci – è espressione plastica di quello che è la ‘ndrangheta in tutta Italia. Politica, economia, società in paese si muovono solo secondo le regole della ‘ndrangheta».

I CLAN Ci sono i Ferrentino–Chindamo, feroci nel difendere il proprio più recente e meno prestigioso casato con pestaggi, incendi, danneggiamenti e ferocia che colpiscono chiunque osi anche accennare uno sgarbo o un diniego a uno di loro, e poi ci sono i Lamari, storico casato di ‘ndrangheta, tanto temuto da non dover ricorrere neanche ad azioni eclatanti per affermare il proprio prestigio e la propria sovranità. Due clan diversi, per profilo e per blasone, in grado di convivere sul medesimo territorio in nome degli affari, ma più volte vicini allo scontro aperto. A rimanere stritolata nel conflitto silente è stata la cittadinanza, piegata ai voleri dei signori dei clan o costretta a subire o assistere in silenzio alle loro angherie.

SIGNORIA «A Laureana di Borrello i clan avevano la signoria assoluta sulle cose, come sulle persone», dice il procuratore capo Federico Cafiero de Raho «ma sono stati in grado di inquinare anche altri territori, come Voghera e Milano dove risiedevano stabilmente molti dei fermati di oggi». Tanto i Ferrentino-Chindamo, come i Lamari, nel tempo si sono spostati al nord, dove le giovani e intraprendenti leve hanno aperto società e avviato contatti con la classe politica e imprenditoriale locale. Ma in paese, non hanno smesso di comandare. O di punire selvaggiamente chiunque osasse sfidarli.

VIOLENZE Chi si permette di non andare ai funerali del boss, si trova la porta di casa crivellata di colpi di pistola, un bidello che osa rimproverare uno dei nipoti del reggente del clan, sorpreso a distruggere le porte dei bagni della scuola, viene pestato selvaggiamente, un agricoltore che ha osato alzare una recinzione per proteggere i suoi campi dal pascolo abusivo delle “vacche sacre” del clan, ha visto andare a fuoco un trattore e un magazzino, due operai colpevoli di aver fatto la manutenzione delle slot machine di uno dei bar di Laureana, sono stati picchiati selvaggiamente con una mazza da baseball.

NESSUNO PARLA «Un pestaggio in stile Arancia meccanica – commenta il maggiore Francesco Cinnirella – uno dei due ha anche perso l’uso di un occhio. E tutto è successo in pieno giorno». Eppure, nessuno ha visto niente. Neanche il parroco Vincenzo Feliciano, la cui parrocchia è adiacente al bar di fronte al quale i due operai sono stati massacrati. Certo, ha sentito delle grida. Ma d’estate i ragazzi in piazza fanno rumore, quindi non ci ha badato. L’unico a denunciare quanto accaduto è stato un carabiniere in pensione, che ai colleghi ha descritto gli aggressori e fornito parte del numero di targa dell’auto con cui i due si sono allontanati.

CLIENTES IN COMUNE «Bisognerebbe parlare di questi episodi anche nelle scuole per mostrare il vero volto della ‘ndrangheta ai ragazzi- spiega Cafiero de Raho – perché la conoscenza è il primo strumento per combattere la criminalità e i suoi metodi. Uno dei mali peggiori della nostra società è pensare che il clientelismo possa aiutare a raggiungere mete ambite, perché la ‘ndrangheta utilizza spesso questi metodi per inquinare il territorio». Incluso il clan Ferrentino–Chindamo. A libro paga del clan e per questo accusato di concorso esterno, c’era infatti anche l’assessore all’Ambiente, Vincenzo Lainà, incaricato di aggiustare le gare per favorire le imprese mafiose.

POSSIBILE COMMISSIONE D’ACCESSO «Sebbene sia solo uno il provvedimento restrittivo emesso, ogni attività del Comune era condizionata dalla volontà delle cosche». Per questo motivo, in mattinata il prefetto Michele di Bari ha ricevuto il provvedimento di fermo, così come tutti gli elementi necessari per valutare i provvedimenti del caso. Allo stato, dalle indagini emerge un totale controllo degli atti amministrativi da parte del clan.

IL VERO BUSINESS I veri affari dei Ferrentino–Chindamo però erano altrove. Gestivano supermercati, edicole, bar, società di costruzioni e di import-export. Proprio quest’ultima era la vera miniera d’oro per il clan. Grazie alla copertura della United Seed’s Keepers” srl, con sede a Milano e Roma, interamente controllata da prestanome, il clan gestiva il traffico internazionale di cocaina lungo le tratte che vanno dall’India, alla Colombia a Gioia Tauro. Nello scalo calabrese potevano contare sulla “disponibilità” di due funzionari dell’autorità portuale, Francesco Prestia e Francesco Tarantino. E i Ferrentino – Chindamo puntavano a espandere il business. «Quello che abbiamo di fronte è un clan che nel tempo ha saputo scegliere metodi moderni e all’avanguardia nel ricercare professionisti che potessero aiutarlo a sviluppare la società di import-export in modo da farla entrare in diversi scali italiani, considerati strategici per il traffico di droga – spiega il procuratore aggiunto Gaetano Paci – Per questo avevano assoldato tutta una serie di manager esterni». In queste ore, molti di loro sono stati perquisiti e hanno ricevuto un avviso di garanzia, ma sulle loro posizioni non filtra alcun commento. «Le indagini sono in corso» fa sapere la Dda. E forse ulteriori sviluppi.

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