LEX | Le "soffiate" degli avvocati agli indagati
REGGIO CALABRIA «Abbiamo proceduto con i fermi perché sapevamo che c’era il serio pericolo di fuga degli indagati». Il procuratore Cafiero de Raho è chiaro. La complessa indagine, che per quasi…

REGGIO CALABRIA «Abbiamo proceduto con i fermi perché sapevamo che c’era il serio pericolo di fuga degli indagati». Il procuratore Cafiero de Raho è chiaro. La complessa indagine, che per quasi due anni ha seguito passi e affari dei clan di Laureana di Borrello, ha rischiato di saltare a causa delle informazioni riservate di cui gli uomini dei clan Ferrentino-Chindamo e Lamari sembravano disporre. E forse, proprio per questo, uno dei principali indagati è volato in Ucraina pochi giorni prima del l’esecuzione del fermo.
A rivelarlo, è stata la lunga e pervasiva attività di intercettazioni telefoniche e ambientali, che ha permesso di scoprire come capi e gregari stessero già progettando di darsi la latitanza prima di essere arrestati. E di certo – emerge dalle indagini – avevano modi, strumenti e uomini per sapere quando rendersi irreperibili. Inquirenti e investigatori non sono riusciti a identificare la talpa, ma sono certi che ci sia. A suggerirlo sono le continue attività di bonifica di case e auto di alcuni degli indagati, come le vere e proprie “indagini” affidate a sorelle, mogli e compagne degli uomini del clan quando a Laureana scattavano controlli dei carabinieri o operazioni di polizia. Istruite al telefono dai partner, le donne del clan pattugliavano il paese per comprendere che tipo di attività fosse in corso, se ci fossero stati arresti, ma soprattutto per fotografare i carabinieri in azione.
Un impegno che non è passato inosservato agli occhi di inquirenti e investigatori, così come le fin troppo informate domande degli avvocati dei clan. Uno di loro, Domenico Chindamo (cl.70), calabrese d’origine ma con studio e residenza a Milano, più volte si è fatto scappare una fin troppo precisa domanda riguardo imminenti retate con carabinieri e magistrati. Allo stesso modo, un suo collega, storico difensore del clan, con eccessiva sicumera si è presentato da magistrato della procura di Palmi, affermando di essere a conoscenza di un’indagine antimafia, con tanto di numero del procedimento, a carico di uno dei suoi assistiti, oggi fermato per associazione mafiosa e altri reati. Ammiccamenti quanto meno curiosi per i magistrati, che dai pentiti hanno avuto conferma dei propri sospetti.
Più volte – hanno rivelato i collaboratori di giustizia – i due legali, “Micuccio” Chindamo in particolare, hanno informato boss e gregari sulle indagini in corso. Anche per questo, casa e studio dell’avvocato Domenico Chindamo oggi sono stati perquisiti per ordine dei magistrati della Dda.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it