«Il medico risarcito dall'Asp di Cosenza non è un beneficiato»
Riceviamo e pubblichiamo la nota inviataci dall’avvocato Davide Garritano, in qualità di legale del medico Pietro Filippo, in merito alla lettera che i commissari alla sanità hanno inviato al dg dell…

Riceviamo e pubblichiamo la nota inviataci dall’avvocato Davide Garritano, in qualità di legale del medico Pietro Filippo, in merito alla lettera che i commissari alla sanità hanno inviato al dg dell’Asp di Cosenza.
Nei giorni scorsi, alcuni organi di informazione hanno dato risalto a un’iniziativa dei Commissari ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario calabrese, consistente in una richiesta di chiarimenti inviata dall’Asp di Cosenza e diffusa ancora prima che venisse ricevuta e protocollata dall’Azienda destinataria.
Gli articoli prendono le mosse da una nota dei predetti commissari i quali, letta «con una certa sorpresa» la delibera del direttore generale avente ad oggetto la transazione conclusa nel corso di una controversia di lavoro tra il dott. Filippo e l’Azienda, hanno chiesto lumi (non sulle cause della controversia e sulla convenienza economica della transazione ma) su un diverso giudizio affrontato dal sanitario, sul pagamento delle spese di giudizio, sul perché della nomina del dirigente medico a svolgere funzioni dirigenziali.
Poiché dal collegamento operato dai Commissari e dai termini di pubblicazione della nota e dei fatti, è uscita fuori una ricostruzione dei fatti alterata e un’immagine del dirigente medico quale persone immeritevole di ricevere il risarcimento per un danno subito, l’iniziativa dei Commissari – questa sì sorprendente – ha suscitato la ferma presa di posizione da parte del dott. Filippo, di cui chiedo darsi adeguata notizia.
1. In primo luogo, non v’è nessuna relazione tra la vicenda penale affrontata dal dott. Filippo e la controversia in materia di lavoro, definita con la transazione incriminata, riguardando fatti accaduti a distanza di circa cinque anni gli uni dagli altri e per nulla connessi tra loro.
2. In secondo luogo, incontestata l’esistenza della condanna pensale, e quindi anche delle condotte che l’hanno determinata, il tutto va riportato nella sua reale consistenza, poiché appare inaccettabile la rappresentazione del dott. Filippo come una sorta di truffatore incallito, premiato in quanto tale con un regalo d centomila euro.
Il processo a carico del sanitario, conclusosi con una pena sospesa, la non menzione e nessuna sanzione accessoria incidente sul rapporto di pubblico impiego, quanto al reato di falso, è legato ad un singolo episodio, relativo al rinnovo della patente della suocera che, diversamente da quanto riportato, ne aveva pieno titolo. Quanto alla vicenda del cartellino, nella stessa sentenza della Cassazione si dà atto dell’incertezza della disciplina applicabile ai dirigenti di struttura complessa all’epoca dei fatti, in considerazione dell’esistenza di una delibera del 2005 (i fatti sono del 2009) che esonerava detti dirigenti dall’obbligo di “timbrare il cartellino” in ragione della natura dell’incarico e delle attività esterne di coordinamento e controllo devolute al direttore della struttura complessa. D’altro canto, proprio perché convinto della propria innocenza (come lo è tuttora, pur nel rispetto della sentenza sfavorevole), il sanitario ha optato per una strategia processuale comportante la sostanziale rinuncia a far valere la prescrizione, che lo avrebbe tenuto indenne da condanna.
Inoltre, giova ricordare, proprio perché non si tratta di un pericoloso criminale, che il dott. Filippo – in quanti hanno fatto altrettanto? – allorché raggiunto dall’indagine e senza alcun provvedimento che lo costringesse a tanto, si è dimesso da presidente del Consiglio comunale perdendo le relative indennità, pari a circa 3mila euro al mese.
La reale portata dell’effettiva condanna trova poi conferma nel fatto che, all’epoca, per detta vicenda, l’Azienda sanitaria non ha neppure avviato un procedimento disciplinare.
3. Su un piano diverso si pone la considerazione per la quale non è dato comprendere perché l’esistenza di una precedente condanna dovrebbe far venir meno il diritto del lavoratore ad ottenere il risarcimento dei danni se il suo presupposto è una condotta datoriale illegittima e gravemente pregiudizievole.
Il risarcimento del danno non è un premio, né un regalo.
Nessuno ha mai definito tale quello ottenuto dalla vittima di un errore medico, di un sinistro o di mobbing, né si è mai posto il dubbio se la qualificazione della somma ricevuta quale ristoro di un danno dipenda dall’esistenza di precedenti penali in capo alla vittima.
Il dott. Filippo non è un beneficiato, è un lavoratore gravemente danneggiato ed ora risarcito.