CLAN E COCAINA | La trattativa (interrotta) tra vibonesi e sudamericani
CATANZARO Un pactum sceleris tra i soggetti intranei al gruppo di ‘ndrangheta Pititto-Prostamo-Iannello di Mileto, vicario della ‘ndrina Fiarè-Gasparro-Razionale dominante a San Gregorio d’Ippona e s…

CATANZARO Un pactum sceleris tra i soggetti intranei al gruppo di ‘ndrangheta Pititto-Prostamo-Iannello di Mileto, vicario della ‘ndrina Fiarè-Gasparro-Razionale dominante a San Gregorio d’Ippona e soggiogata all’egemonia della “famiglia” Mancuso di Limbadi. Nel corso delle indagini sul traffico internazionale di stupefacenti che ha dato vita all’operazione “Stammer”, condotta dal Gico della guardia di finanza di Catanzaro e coordinato dalla Distrettuale del capoluogo, gli investigatori hanno ricostruito la geografia dei traffici e dei gruppi criminali protagonisti del narcotraffico. «Occorre sottolineare, in premessa – scrivono i magistrati Nicola Gratteri, Giovanni Bombardieri e Camillo Falvo, che hanno vergato il fermo di “Stammer” –, che, negli ultimi decenni, la ‘ndrangheta calabrese e, tra le ‘ndrine regionali, in particolare la famiglia Mancuso di Limbadi e le cosche ad essa federate, operanti nel resto della provincia vibonese, hanno avuto il predominio nel narcotraffico internazionale, stipulando accordi direttamente con i cartelli colombiani per l’importazione della cocaina».
Le indagini di “Stammer” hanno inizio nel novembre 2014, quando la National crime agency (Nca) segnala alla Dda di Catanzaro che una propria cellula in Colombia aveva scoperto «la connivenza tra un’organizzazione criminale colombiana e una italiana impegnate nell’importazione di ingenti quantitativi di cocaina dal Sudamerica da destinare al mercato europeo». In particolare, «un sodalizio criminale italiano, operante nel circondario vibonese, stava tentando di definire col cartello colombiano la negoziazione di considerevoli partite di cocaina». A concludere la trattativa era stato incaricato Giuseppe Mercuri. «In particolare – scrivono gli inquirenti –, emergeva che Giuseppe Mercuri stava negoziando l’importazione di un quantitativo pari a 8mila chili di cocaina, successivamente sequestrati dalla polizia colombiana nella città costiera a nordovest del porto di Turbo, di cui 1.500 chili di pronta importazione verso il mercato europeo. Considerando che il prezzo d’approvvigionamento alla fonte si aggirava intorno ai 6/7 mila euro al chilogrammo, l’importo di 10 mila euro che i sodali commentavano nelle loro conversazioni come nella disponibilità dei soggetti calabresi, era funzionale a coprire l’acquisto, in via preliminare, dei 1.500 chilogrammi».
Le trattative si protraggono a lungo, fino all’estromissione di Mercuri dalle trattative. Le redini le prenderà la ‘ndrina Pititto-Prostamo-Iannello di Mileto. Con e nuove trattative il carico commissionato passa da 1.500 chili a 400, la differenza di 1.100 chili sarebbe stata «commercializzata in altri ambiti europei, ove il cartello vantava l’operatività di altri partecipi».
Le indagini mettono in evidenza come «le attività tecniche evidenziavano che, in via preliminare, i calabresi propendevano per la spedizione di un carico di “prova”, corrispondendo il denaro per un’importazione di 20 chili di cocaina. Dal canto loro, invece, i colombiani ne inviavano 63 chili circa di cui una parte, pari a 20 chili, era quella commissionata dai calabresi, 3 chili dovevano servire quale corrispettivo da dare a coloro che dovevano garantirne il recupero dall’area portuale di Livorno, mentre la restante parte era di proprietà del cartello colombiano».
LA ‘NDRINA DI SAN CALOGERO L’ingente quantitativo da far arrivare in Italia necessitava dell’investimento di una grossa somma di denaro e quindi del coinvolgimento di più ‘ndrine della provincia di Vibo Valentia. «È proprio in tale contesto che veniva accertata la collaborazione tra la ‘ndrina di San Calogero (riconducibile alla famiglia Grillo) e quella della contigua cittadina di Mileto subordinata alla “cosca maggiore” dei Fiarè di San Gregorio d’Ippona, anch’essa parte attiva nelle negoziazioni e considerata, all’interno della linea gerarchica criminale, vicaria della cosca Mancuso di Limbadi.
Il 20 gennaio 2015, l’emissario colombiano arriva in Italia. Sarà l’inizio di una serie di viaggi da e per il Sudamerica. A Salvatore Pititto viene affidato il compito di trovare il denaro necessario a finanziare l’operazione.
LE CONFESSIONI A CASA DELL’AMANTE Nell’agosto 2015 gli uomini del Gico riescono a mettere delle cimici in casa di Oksana Verman, amante di Salvatore Pititto, grazie all’installazione di un climatizzatore. Qui non solo si tengono veri e propri summit tra i sudamericani e gli italiani, ma Pititto riferiva «puntualmente alla compagna ucraina fatti inerenti la conduzione degli illeciti affari del clan, riferendo notizie particolarmente circostanziate, sia con riferimento al traffico di cocaina, sia alla gerenza del mercato della marijuana e ai relativi canali di approvvigionamento». Una vera e propria miniera di informazioni pronta a trovare il riscontro degli investigatori. Le indagini confermano che che lo stupefacente, occultato all’interno di un carico contenente banane e imbarcato su una motonave, sarebbe partito da Turbo (Colombia) il due agosto, con arrivo previsto al porto di Livorno, il successivo 17 agosto. A Domenico Lentini il compito di garantire il recupero dello stupefacente dal porto livornese.
IL CARGO DELLE BANANE Ma quando il cargo attracca, i finanzieri sono lesti a perquisirlo e a rinvenire, all’interno di alcuni cartoni contenenti banane, 63 panetti di cocaina mimetizzati, nella forma e nel colore, come fossero banane. Il colpo subìto non ferma i narcos che procedono immediatamente ad una «una rapida riorganizzazione, mirata all’importazione di un nuovo carico di cocaina».
Il sequestro della cocaina aveva comunque comportato per gli italiani il pagamento di una penale e aveva lasciato le negoziazioni in una fase di stallo.
Ad ogni modo, «in attesa dell’arrivo del narcotico commissionato in Sudamerica, i sodali calabresi potevano contare, a livello locale (con contatti su tutto il territorio nazionale, a dimostrazione della pericolosità del sodalizio oggetto del presente procedimento), di un alternativo e costante canale di approvvigionamento (o, meglio, di diversi ed alternativi canali di approvvigionamento) di cocaina e marijuana a cui attingere nei periodi in cui non vi era disponibilità». A entrare in gioco, in questo caso, sono altri due indagati finiti martedì nella rete delle fiamme gialle, i fratelli Gregorio e Antonino Cannizaro di Rosarno.
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it