O il centrodestra cambia o muore
Andrè Suarès amava dire che in politica la saggezza sta nel non rispondere alle domande. L’arte, invece, nel non lasciarsele fare. Eppure qualche domanda scomoda dovremmo avere il coraggio di porla…

Andrè Suarès amava dire che in politica la saggezza sta nel non rispondere alle domande. L’arte, invece, nel non lasciarsele fare. Eppure qualche domanda scomoda dovremmo avere il coraggio di porla.
Diciamocelo pure: per un giovane affacciarsi alla politica oggigiorno sa quasi di martirio.
Il PD sembra implodere tra scissioni annunciate, imboscate congressuali ed il riaffiorare di inguaribili malattie infantili del comunismo (che un certo Lenin denunciava già un secolo fa).
Il Movimento 5 Stelle, dopo l’ennesima autopsia alla Giunta Raggi e la caccia alle polizze in cerca d’autore, appare in chiaro delirio paranoico e continua a urlare scompostamente contro l’accerchiamento dei media e dei poteri forti. Rischiando così di dilapidare il pur imponente patrimonio di rivendicazioni in suo possesso e il pieno di consensi nascente dall’insoddisfazione e dalla povertà crescente del ceto medio.
Sembrerebbe un quadro ottimale per una ripresa forte della tessitura del centro destra.
Eppure se c’è una forza politica dilaniata dalla congiuntura politica questa è proprio il centro destra.
Senza leadership riconosciute e riconoscibili, frammentato da venti trumpiani , dal delirio eugenetico di Salvini, da nostalgie centriste e revival post-fascisti, il vecchio Polo delle Libertà barcolla pericolosamente.
E’ saltato il collante culturale della rivoluzione liberale, la spinta narciso-utilitaristica delle partite IVA, il sogno della riduzione della pressione fiscale e soprattutto la spinta “pulita” dei giovani delusi dalla politica.
Emerge una tentazione neomercantilista, protezionista e isolazionista.
Che, a pensarci bene, è esattamente agli antipodi della cultura tecnologica oggi dominante e tutta declinata, come noto, in termini di connessioni, interattività, compatibilità, integrazione. Praticamente l’opposto di Salvini, Le Pen e Trump.
Al centro destra italiano è riuscito il miracolo: sconfessare la sua storia liberale, rinnegare la frontiera delle tecnologie e osservare il precipizio dell’uscita dall’UE edulcorandolo con una veste neonazionalista.
Tra sovranismo e neo-mercantilismo si ha l’impressione di assistere al disegno di una triste parabola del ragionamento economico del centro destra.
La sensazione è quella dell’assenza di un disegno politico-istituzionale capace di coniugare il revisionismo liberista (necessario ed evidente ai più) con la riformulazione di una cultura europea sganciata dalle tentazioni ne-omercantiliste e, comunque, legata alle specificità dei territori.
A meno che, e anche questa è un’ipotesi, non sia chiara alla sola, e solita, elite esoterica delle forze conservatrici una rappresentazione “all’italiana” di nuove sante alleanze tra capitale e lavoro in versione 4.0.
Sperando che non sia questa la tentazione suicida, occorrerebbe iniziare a tentare un ragionamento partendo dal fattore primo della vittoria politica: il consenso.
E qui ha inizio la tragedia: il centro destra non esiste più nella dimensione politica che ha fatto breccia nel cuore (e nelle tasche) degli italiani. Ma ad esser cambiato non è il centro destra: è cambiata la prospettiva culturale e strutturale del capitalismo mondiale. Trump non interpreta un pittoresco modello di comunicazione politica: disegna, piuttosto, l’indebolimento della globalizzazione come architrave delle catene di valore e spinge verso integrazioni geopolitiche impensabili solo fino a qualche anno fa.
Continuare a sintetizzare le nuove traiettorie strutturali degli interessi economici oggi in gioco nelle consunte categorie politiche di destra e sinistra conduce a morte ( politica ) certa.
Si tratta, forse, di elaborare rappresentazioni diverse dalle tradizionali categorie politologiche quali la “dicotomia capitale-lavoro” piuttosto che dalla sintesi sociologica e sindacale del “blocco sociale” rifuggendo magari, se possibile, anche dalla tentazione omologante della “società liquida” che tutto include ma nulla spiega.
E sì, perché mentre Ibm lavora a piattaforme di business cognitivo – e cioè a processi di intelligenza artificiale capaci di interpretare in nanosecondi miliardi di informazioni e di dati non strutturati legati a gusti, preferenze, emozioni e localizzazioni dei consumatori sparsi in tutto il mondo- il rischio è che il centro destra risponda con rappresentazioni di folklore monetario (tipo le monete locali) o con protezionismi di fine ottocento per tutelare la passata di pomodoro (magari della Terra dei Fuochi), la purezza del radicchio rosso di Treviso piuttosto che i salami silani (quasi tutti, tristemente, derivati da suini olandesi).
Occorre un salto di qualità sottraendo, con coraggio, la tentazione di imbalsamare il pensiero economico del centro destra ai nostalgici del liberismo sfrenato, agli inconsolabili della destra sociale d’ispirazione tardo fascista fino alle imbarazzanti derive leghiste sulla pulizia sociale degli immigrati.
Non ce ne voglia Suarès ma vanno trovate risposte politiche a quattro domande economiche fondamentali:
1) 2500 miliardi di euro di debito pubblico “vantati” dal nostro Paese che tipo di vincolo pongono alla libertà del pensiero economico del centro destra, al di là del machismo di quartiere di qualche disinvolto sostenitore della percorribilità di un’uscita italiana dall’Euro e dall’Europa?
2) Esiste una nuova modalità di aggregazione politica e sociale degli interessi dei cittadini, diversa magari dai partiti, capace di coniugare libertà private e ruolo del pubblico?
3) Esiste una caratterizzazione geo-politica intermedia capace di salvaguardare l’Europa ma, nello stesso tempo, di recuperare livelli di autonomia decisionale a vantaggio di aree maggiormente omogenee per storia, vocazioni produttive e affinità culturali senza sfociare nel fanatismo dei nazionalismi?
4) Esiste una nuova catena di valore economico da interpretare e rappresentare e che tenga conto degli attuali vincoli strutturali tra cui sostenibilità, innovazione, migrazioni?
Credo occorra una riflessione coraggiosa capace di contrastare il default del paradigma intellettuale del pensiero liberale. Il centro destra, oramai, non esprime un’idea originale e innovativa dal famoso contratto di Berlusconi con gli italiani del 2001. Da allora, complice la crisi globale legata ai mutui subprime del 2006, nessuno più ha saputo produrre idee di sistema nel centro destra. A meno che non si voglia confondere il sovranismo e il mercantilismo con un prospettiva di lungo periodo del centro destra.
Di sicuro non basteranno genuflessioni al pensiero (??) della Le Pen piuttosto che alle teorie di Fukuyama: occorre avere il coraggio di una elaborazione autonoma e originale.
Sarebbe opportuno un dibattito sulle idee e poi, solo dopo, riuscire a capire chi è il leader. Anche perché la storia, soprattutto nelle grandi fasi di trasformazione, non conosce leader senza idee. E il centro destra italiano, al pari di tutto il quadro politico europeo, o cambia o muore.
*docente Unical