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I calabresi che esportano la 'ndrangheta in Veneto

VENEZIA Sette misure cautelari, assieme a una sessantina di perquisizioni, nel quadro di una indagine su infiltrazioni di stampo mafioso nel tessuto economico del Nord Italia, sono in corso di esec…

Pubblicato il: 07/03/2017 – 15:34
I calabresi che esportano la 'ndrangheta in Veneto

VENEZIA Sette misure cautelari, assieme a una sessantina di perquisizioni, nel quadro di una indagine su infiltrazioni di stampo mafioso nel tessuto economico del Nord Italia, sono in corso di esecuzione da parte dei carabinieri di Venezia. I provvedimenti, sotto il coordinamento della direzione distrettuale antimafia di Venezia, riguardano un sodalizio ritenuto contiguo alla ‘ndrangheta che operava attraverso l’acquisizione di società in difficoltà che venivano intestate a prestanome e attraverso le quali venivano realizzate truffe ai danni di ditte fornitrici dei più diversi generi, di istituti di credito e finanziari. L’indagine è scattata nell’area di San Donà.
Gli arrestati sono Michelangelo Garruzzo, 56enne di Rosarno ma da tempo residente in provincia di Treviso, e Antonio Anello, 63enne di Curinga, ma che dimorava, con i suoi familiari, tra Calabria e Veneto.
Il volume d’affari stimato delle truffe è attorno ai 12 milioni di euro. I reati contestati vanno dalla violenza aggravata dal metodo mafioso alla truffa, bancarotta fraudolenta, ricettazione e riciclaggio.
L’operazione “Nuova Frontiera” è la conseguenza di una complessa attività investigativa (di tipo sia tecnico sia «tradizionale»).
Ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di una sessantina di persone, coinvolte, a vario titolo, nel reato di associazione per delinquere finalizzata alle consumazione di truffe, anche in danno di istituti di credito e finanziari, bancarotte fraudolente, indebiti utilizzi di carte di credito e di prelievo di carburanti, ricettazione, riciclaggio e violenza privata, con l’aggravante, per diversi, di aver agito avvalendosi di metodi mafiosi, per agevolare l’organizzazione criminale della ‘ndrangheta calabrese, attraverso le sue articolazioni.
Circa 60 le perquisizioni disposte in varie regioni d’Italia, tutt’ora in corso di esecuzione, nei confronti di ricettatori e fiancheggiatori. Oltre 150 risultano le imprese truffate, il cui danno complessivamente patito si aggira intorno ai cinque milioni di euro. Le indagini hanno consentito di individuare numerose società e imprese individuali, divenute obiettivo del gruppo criminale, le quali avevano sede e unità locali in Veneto.
Venivano utilizzate per attuare truffe ai danni di imprenditori operanti in varie parti del territorio nazionale (fatta eccezione per la Calabria che, al contrario, era il luogo di destinazione dei beni acquisiti in modo illecito); truffe ai danni di Istituti di leasing e bancari; reati di indebito utilizzo di carte di pagamento; episodi di bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale (visto che quasi tutte le ditte acquisite venivano portate al fallimento) ed episodi di riciclaggio.
I metodi mafiosi emergono anche da un episodio accaduto alla fine di agosto del 2015 a Jesolo quando un giovane commesso stagionale è stato minacciato e poi picchiato, dopo essere stato portato nel retrobottega del supermercato Bafile Market: il ragazzo aveva semplicemente caldeggiato il suo stipendio, in forte ritardo, perché altrimenti si sarebbe rivolto alle organizzazioni sindacali. Quel che il ragazzo non sapeva è che quel supermercato era gestito, in affitto d’azienda, da una società asservita alla compagnia criminale.
Il supermercato, nella notte tra il 30 e il 31 agosto del 2015, venne completamente svuotato, e poi abbandonato, creando allarme tra i fornitori della zona, che non erano ancora stati pagati. Il market, che fruttava circa 5 mila euro al giorno, lavorava infatti con la formula della merce acquistata con la formula del pagamento a 30, 60 o 90 giorni, tempo sufficiente per mettere a segno le truffe e poi sparire.
Nel complesso sono state calcolate truffe alle imprese (alimentari, vini e liquori, infissi, etc) per 5 milioni; truffe agli istituti bancari (leasing per acquisti di beni mobili inesistenti) per 2 milioni; truffa alle società petrolifere (indebito utilizzo di carte carburanti) per 1 milione; più una bancarotta fraudolenta per 5 milioni di euro.

IL PROCURATORE: «MERCE RICOLLOCATA IN CALABRIA» «Uno degli atti più significativi di questa indagine, che ha richiesto tempo ed è risultata molto difficile, è il collegamento tra la criminalità che noi abbiamo trovato operante sul nostro territorio e la ‘ndrangheta calabrese». Lo ha detto il procuratore reggente di Venezia Adelchi D’Ippolito, commentando l’operazione dei carabinieri che ha portato ad arresti e indagati nei confronti di una banda che acquisiva aziende del Nordest in difficoltà, affidandole a prestanome e realizzando con esse delle truffe. «La merce – ha aggiunto D’Ippolito – era tutta ricollocata in Calabria, quindi, evidentemente, le persone che sono state state colpite da misure cautelari potevano contare su una rete molto ramificata proprio in quella regione».

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