COSENZA «Piena attendibilità dei collaboratori di giustizia». È questo uno degli elementi principali su cui la Corte di Assise di Cosenza ha basato la sentenza di condanna per gli imputati del processo “Tela del ragno”. Nel tardo pomeriggio di martedì sono state depositate le motivazioni della sentenza. Si tratta dell’operazione contro i presunti capi e gregari del clan Perna-Cicero di Cosenza, Gentile-Africano-Besaldo di Amantea, Scofano-Martello-Rosa-Serpa di Paola, e Carbone di San Lucido. Lo scorso 23 settembre il presidente della Corte, Giovanni Garofalo (a latere la collega Francesca De Vuono) ha emesso un verdetto con ben undici ergastoli.
I giudici hanno condannato Giovanni Abbruzzese alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per un anno per tutti i capi di imputazione; Vincenzo Dedato a 11 anni di reclusione riconoscendo le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti e lo status di collaboratore di giustizia; Salvatore Valerio Crivello, Gennaro Ditto (assolto per il capo di imputazione 13), Giancarlo Gravina, Giuseppe Lo Piano, Mario Martello, Giacomino Guido, Fabrizio Poddighe, Mario Mazza, Francesco Tundis scontano l’ergastolo con isolamento diurno per un anno. Umile Miceli è stato condannato a 22 anni di carcere con attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti. Condannato a 14 anni di carcere Giuliano Serpa, riconoscendo lo status di collaboratore di giustizia. Ergastolo con isolamento diurno per un anno e sei mesi per Nella Serpa. La Corte ha disposto il non doversi procedere per Luca Bruni per intervenuta morte del reo e per Giacomino Guido per il capo di imputazione 16.1 per avvenuta prescrizione. I giudici ha assolto Paolo Brillantino, Tommaso Gentile, Mario Matera, Livio Serpa e Ulisse Serpa per non aver commesso il fatto. La Corte ha poi disposto, inoltre, l’immediata scarcerazione di Tommaso Gentile e Livio Serpa se non detenuti per altro (Tommaso Gentile, che è rimasto in carcere per altro motivo).
I giudici della Corte di Assise, in ben 432 pagine, descrivono il contesto in cui sono avvenuti gli omicidi e che hanno decretato la guerra di mafia tra i clan del Cosentino. Diversi gli aspetti approfonditi. In particolare il contributo dato dai pentiti, alcuni dei quali sono stati sentiti anche in dibattimento. Come il neocollaboratore Franco Bruzzese. La Corte li ha ritenuti molto credibili anche perché «soggetti organici ai sodalizi di stampo mafioso operanti sul Paolano».
«Nelle loro dichiarazioni – è scritto nelle motivazioni – non esistono motivi di pregresso rancore» nei confronti degli imputati.
I numerosi pentiti sentiti hanno reso dichiarazioni in «modo indipendente» e in varie fasi dell’inchiesta e del processo. Dichiarazioni che sono «scevre di significative contraddizioni». I giudici parlano di «credibilità intrinseca dei collaboratori». I loro racconti non sono stati smentiti da «emergenze oggettive» e «le loro affermazioni hanno trovato molteplici riscontri di varia natura». I pentiti sono stati credibili sia quando si sono autoaccusati dei delitti o altri episodi delittuosi, sia quando hanno riferito di fatti criminosi di cui erano a conoscenza. Altra fonte probatoria importante – mettono nero su bianco i giudici – sono state le numerose intercettazioni telefoniche e ambientali. L’attività captativa è stata «fondamentale».
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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