Reggio, il decalogo del canile-lager – IL VIDEO
REGGIO CALABRIA Gino che avvicina la testa al box per quelle carezze che da troppo tempo solo saltuariamente riceve, Marika che reclama attenzione con i suoi salti da circo, Rambo che abbaia com…

REGGIO CALABRIA Gino che avvicina la testa al box per quelle carezze che da troppo tempo solo saltuariamente riceve, Marika che reclama attenzione con i suoi salti da circo, Rambo che abbaia come un forsennato per attirare l’attenzione. Così gli ospiti del canile di Mortara di Pellaro hanno accolto i carabinieri forestali arrivati questa mattina per sequestrare la struttura per ordine del gip del Tribunale di Reggio Calabria.
AI DOMICILIARI IL GESTORE Contestualmente, i militari hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari nei confronti del gestore, Irene Putortì, legale rappresentante e volto pubblico dell’associazione Aratea. Truffa ai danni del Comune, maltrattamenti sugli animali, violenza privata, estorsione, violazione delle norme ambientali: sono diversi i reati contestati a Putortì.
ASSEGNAZIONE NON LIMPIDA Candidata anni fa nelle liste a sostegno di Giuseppe Scopelliti alle comunali, da sempre considerata molto vicina all’ex assessore delle Politiche sociali, Tilde Minasi, il 6 aprile scorso ha preso ufficialmente in mano il canile di Mortara di Pellaro. L’assegnazione però risale a molti anni prima, all’esito di una gara bandita ed espletata in tutta fretta in piena stagione estiva, poco prima che l’amministrazione Arena venisse sciolta per mafia. Una gara che per gli investigatori è stata tutt’altro che limpida.
DOCUMENTI FALSI Secondo quanto emerso dalle indagini, Aratea avrebbe prodotto anche documentazione non rispondente al vero. Secondo quanto già in passato da diverse associazioni animaliste, Putortì avrebbe presentato in sede di gara un organigramma di personale qualificato che avrebbe dovuto lavorare in struttura, ma a Mortara non ha mai messo piede, insieme ad una rete di partnership con enti e università, in realtà inesistenti.
GARA TURBATA Tutti elementi che hanno permesso ad Aratea, registrata come associazione socioassistenziale, di colmare il gap di esperienza pregressa richiesto dal bando di gara, e valorizzati con numerosi punti dalla commissione, all’epoca presieduta da Loredana Pace, oggi dirigente del settore Ambiente. Perduta nel limbo degli uffici comunali negli anni del commissariamento, la procedura di assegnazione è stata completata dall’amministrazione Falcomatà.
VIA LIBERA Nonostante una serie di garbugli burocratici, dall’agibilità solo parziale della struttura, al mancato accatastamento, come alla non conformità di spazi e box alla nuova normativa regionale di riferimento, sanata – sulla carta – da una serie di lavori di adeguamento in via di realizzazione, il 6 aprile scorso si è vista consegnare la struttura e gli animali che lì erano ricoverati. Negli anni dell’abbandono, il canile è stato infatti rimesso in funzione e autogestito dall’associazione animalista “Dacci una zampa onlus”, che ha recuperato e accompagnato all’adozione centinaia di cani. Molti però erano ancora nella struttura quando Aratea ne è entrata in possesso e lì sono rimasti in qualità di ospiti (paganti).
ANIMALI «IN CONDIZIONI INCOMPATIBILI CON LA LORO NATURA» Tuttavia, secondo quanto emerso dalle indagini, la gestione degli animali già presenti in canile, come di quelli che nel tempo si sono aggiunti, nell’era Putortì sarebbe stata tutto meno che adeguata. E non solo per l’epidemia di cimurro, presumibilmente legata all’inesperienza nella gestione dei nuovi ingressi, che non più tardi di qualche mese fa ha costretto il Comune a chiudere per emergenza sanitaria. Condizioni igieniche precarie, smaltimento non adeguato dei rifiuti, innumerevoli episodi di maltrattamento nei confronti degli animali, ricoverati – si legge in una nota degli investigatori – «in condizioni incompatibili con la loro natura»: queste sono le contestazioni mosse a Putortì, che tuttavia deve rispondere anche di “maltrattamenti” sugli esseri umani.
GESTORE-PADRONE Dipendenti obbligati alle dimissioni o a svolgere mansioni non previste, costretti a prolungare l’orario di lavoro ben oltre il pattuito nel contratto di assunzione, minacciati e intimiditi per costringerli al silenzio. Questo è rimasto del blasonato organigramma presentato qualche anno fa in sede di gara. Con buona pace dei generosi finanziamenti pubblici che hanno accompagnato l’assegnazione del canile, la struttura di Mortara si sarebbe trasformata in un canile-lager.
RESPONSABILITÀ DIFFUSE Sul perché gli inquirenti non sembrano avere dubbi. Il denaro pubblico stanziato – si legge in una nota degli investigatori – «invece di porre le basi per la soluzione del problema del randagismo canino nel Comune di Reggio Calabria e dell’intera provincia, non ha fatto altro che suscitare non pochi appetiti di soggetti privati, lasciando in secondo piano il benessere degli animali ed evidenziando l’inadeguatezza degli enti locali e sanitari preposti per legge a risolvere detta problematica».
SI INDAGA ANCORA Nel corso delle indagini, sottolineano i carabinieri forestali nella loro nota, «sono emerse palesi responsabilità nella procedura di aggiudicazione e gestione del canile. Dall’analisi degli atti, risulterebbero condotte illecite che lasciano ipotizzare ulteriori responsabilità a carico di ulteriori soggetti coinvolti».
Insomma, le indagini continuano. E non è detto che non lambiscano chi avrebbe dovuto vigilare su un gestore, oggi tanto penalmente inadempiente e incapace da meritarsi gli arresti domiciliari.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it