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Perché il governatore sbaglia sulle Valli Cupe

Conosco la realtà delle Valli Cupe ed ho il privilegio di godere dell’amicizia di Carmine Lupia.Spero non mi faccia velo l’ammirazione che nutro nei suoi confronti come dei tanti calabresi che cono…

Pubblicato il: 11/05/2017 – 15:26
Perché il governatore sbaglia sulle Valli Cupe

Conosco la realtà delle Valli Cupe ed ho il privilegio di godere dell’amicizia di Carmine Lupia.
Spero non mi faccia velo l’ammirazione che nutro nei suoi confronti come dei tanti calabresi che conosco e che utilizzano la loro competenza e passione per dimostrare che anche in Calabria è possibile realizzare esperienze di eccellenza che superano di gran lunga i confini regionali.
Suo malgrado questa realtà sta diventando una metafora, l’ennesima di ciò che è la politica nella nostra regione, quella politica che può trovare conveniente tutto, anzi rivestirlo di diritto anche quando la parola si pronuncia “clientela”.
Non metto in discussione la buona fede del presidente Oliverio. Un po’ meno quella di assessori e dirigenti che prima partecipano in prima persona al procedimento amministrativo di elaborazione di una proposta di legge, ne curano l’elaborazione, offrono pareri, nulla osta e quant’altro. Supportano l’attività della commissione consiliare senza avanzare dubbi per accorgersi, quattro mesi dopo che la legge è stata approvata all’unanimità e passata al vaglio del governo che nulla ha eccepito, che la stessa sarebbe addirittura “incostituzionale” o illegittima. 
Tale modo di comportarsi di chi ha responsabilità di rappresentare le istituzioni sarebbe, in condizioni normali, sottoposto al pubblico ludibrio ma il discorso porta lontano, non ultimo ai guasti dello spoils system che costruisce una burocrazia poco civil e molto servant.
Per fortuna una delle poche cose che ancora incombe sulla p.a. è l’obbligo della motivazione che impone di rendere noto ai cittadini gli elementi che influiscono sulla decisione da assumere.
È stato oramai chiarito dalla stesso presidente Oliverio che a motivo della pdl che modifica la legge istitutiva della Riserva delle Valli Cupe ci sarebbero due ordini di argomenti:
1) “La legge regionale n. 10/2003 prevede, nel caso di una riserva che incide su due comuni, come forma di gestione la costituzione del consorzio obbligatorio tra tutti gli enti locali interessati”;
2) la legge quadro nazionale prevede il «principio fondamentale per la gestione dell’area protetta regionale la partecipazione degli enti locali interessati alla gestione dell’area protetta».
Chi ha il tempo e la voglia di andarsi a leggere le due leggi, capisce immediatamente – e senza bisogno di essere un cultore del diritto – che tali motivi non trovano rispondenza nella norma poiché né la legge regionale n. 10/2003 tantomeno la legge quadro nazionale n. 394/91 dispongono alcun obbligo di assegnare la gestione a un consorzio di enti locali nel caso in cui l’area incida su più comuni.
Volutamente si confonde tra “soggetto gestore” e “strumenti di attuazione” della gestione. Sono questi ultimi che, ovviamente, prevedono il coinvolgimento dei soggetti interessati e si ignora altresì che in Calabria sono presenti altre riserve naturali, che incidono sul territorio di più enti locali, a non essere affatto gestiti da consorzi di comuni.
Sia la legge quadro che la legge regionale dispongono una serie di opzioni possibili e non un obbligo cogente nella scelta del soggetto gestore, prevedendo sì i consorzi, ma anche enti di diritto pubblico (e un comune è senz’altro un ente di diritto pubblico), organismi associativi, associazioni ambientaliste, università e financo istituzioni scientifiche.
Ma vi è di più. Nella legge quadro è inserito l’importante principio della non replicabilità automatica delle forme organizzative della gestione considerata «la peculiarità delle aree interessate» mentre la legge regionale, prevedendo che «a un ente di gestione può essere demandata la gestione anche di più aree protette», smentisce ulteriormente il motivo dell’obbligatorietà, potendo la Regione determinarsi ad affidare aree protette ricadenti in altri e diversi territori ad un ente di gestione che opera in altra area.
Non esiste dunque alcun elemento di obbligatorietà nella scelta del soggetto gestore. E a chi ancora nutrisse dei dubbi consiglio di fare una ricognizione delle altre leggi regionali – che pure sono tenute al pari della Calabria ad adeguarsi alla legge quadro – per verificare che nessuna obbligatorietà viene disposta in favore dei consorzi degli enti locali come soggetti gestori. Alcune Regioni hanno addirittura cassato questa modalità di gestione dalla propria normativa considerato l’unanime discredito che tale forma ha ormai assunto tanto da avere suscitato la mannaia abrogativa della stessa legislazione nazionale.
La proposta di legge modificativa della legge in vigore prevede che il soggetto gestore sia individuato nel consorzio tra comuni. È evidente che nessuno ha informato il presidente Oliverio che, partendo ormai dall’unanime convincimento che i consorzi sono risultati strumenti obsoleti, il legislatore nazionale è intervenuto in più occasioni per limitare l’uso di tale istituto da parte degli enti locali. Due in particolare: la L. 28 dicembre 2001 n. 448 (art. 35) ha escluso il consorzio fra enti locali per le attività aventi rilevanza economica e imprenditoriale, facendo salvi, nell’ultimo comma del cit. art. 31, i consorzi che gestiscono servizi pubblici locali privi di rilevanza economica di cui all’art. 113 bis Tuel, assoggettati al regime delle aziende speciali; la L. 23 dicembre 2009 n. 191 (art. 2, comma 186), a fini di coordinamento e di contenimento della spesa pubblica, ha imposto ai comuni la soppressione dei consorzi di funzioni tra enti locali (con l’eccezione dei bacini imbriferi montani).  
Ora si può discutere se un consorzio tra comuni per la gestione di un’area protetta sia un consorzio di funzione o un consorzio di servizi. Ma esistono in Italia almeno due Regioni, Lombardia e Emilia Romagna che, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 191/2009, si sono affrettate a modificare la loro normativa per la trasformazione dei consorzi tra enti locali nello specifico settore, di fatto considerati abrogati poiché il legislatore nazionale aveva comunque precisato che «restano esclusi dall’applicazione della disciplina in parola, fino alla data di entrata in vigore di ciascuna legge regionale di riordino e comunque non oltre il 31 dicembre 2011, i consorzi di funzione costituiti per la gestione degli Enti parco istituiti con legge regionale».
Questo dunque lo stato dell’arte. Di certo nessuna obbligatorietà sul da farsi e altrettanto sicuramente nessuna illegittimità nella legge già approvata. Anzi, proprio avviando la costituzione di un consorzio c’è il concreto rischio di costruire una forma illegittima di gestione che invece di trasmettere riconoscimenti offra una risposta pubblica obsoleta e improduttiva.

*Giornalista

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