Massimo Scura contro tutti: contro la Regione che non ha mai accettato la sua nomina a Commissario; contro il Dipartimento che non ne asseconda le iniziative; contro i sindaci che “pretendono” spiegazioni sulle scelte calate dall’alto; contro il Tar che gli dà torto e contro il Consiglio di Stato che dà ragione al Tar. Che in questa escalation potesse arrivare anche una fatwa contro il suo “vice” Andrea Urbani non deve, di conseguenza, sorprendere.
Urbani si presenta con l’aplomb di un gentleman inglese, parla in maniera pacata, ti manda a quel paese ma sorseggiando insieme a te un caffè e senza mai smettere di sorridere. Appare possibilista e, in alcuni momenti, anche remissivo. Tuttavia, siccome di mestiere non fa l’ingegnere e neanche l’idraulico, ha il vizio di conoscere bene le leggi, e non solo quelle che regolano la gestione di enti pubblici, anche quelle che comportano responsabilità contabili e penali. E siccome Urbani sa bene che le responsabilità, contabili e penali, sono personali, la sua firma la mette in calce solo a quei provvedimenti che ritiene coerenti con il mandato ricevuto e con le leggi dello Stato. Di conseguenza ci sono documenti che firma e documenti che restituisce al mittente, sia pure con riservatezza ed accompagnati dalle indicazioni per le quali “consiglia” di non andare oltre.
Messa così la questione, lo scontro odierno tra l’ingegnere Scura e l’economista Urbani, che per di più oggi siede alla direzione generale della rete sanitaria statale, non solo non sorprende ma anzi appare inevitabile.
Del commissario Scura conosciamo, per contro, gli incontenibili scatti d’ira (basta andare su YouTube per trovare eloquenti filmati) che adesso troviamo abbinati a quella voglia di intimidire il vicinato, con un costante ricorso agli atti giudiziari, che Verga ben descrive in Mastro don Gesualdo che ormai con parenti e vicini neanche parlava: ogni volta che veniva contraddetto, sellava la mula e scendeva a Catania dall’avvocato.
Sorprende, invece, il fatto che nell’ultimo blitz in procura l’ingegnere Massimo Scura abbia messo nel suo mirino anche i ministri della Salute e dell’Economia, vale a dire quelli che lo hanno scelto e nominato commissario, spedendolo in Calabria con un mandato ben preciso: rimettere in ordine spesa e livelli assistenziali. La prosa usata nel suo comunicato, infatti, fa capire bene che rispetto alla Lorenzin e a Padoan il massimo che intende concedere Scura è di essere un “primus inter pares”. Infatti li considera “Ministeri affiancanti” e in tale ottica non può accettare che dei meri “fiancheggiatori” gli possano impartire disposizioni. Invece hanno osato farlo: «Hanno inoltrato al Commissario (cioè a lui, ndr) un parere nel quale affermano che, mancando la firma del sub-commissario il Dca 50 non può essere ritenuto valido, guardandosi bene dal citare la norma a sostegno di questo parere la o la norma che avrei violato nel sottoscrivere da solo il Dca 50 per un semplice motivo: entrambe non esistono».
Fermiamoci qui, del merito della questione abbiamo già scritto: si gioca sulla pelle dei calabresi facendo finta di muoversi nel loro interesse. Urbani spiega le ragioni per le quali non c’è libertà di scelta nell’Ufficio del Commissario in quanto ai profili delle assunzioni da autorizzare e numericamente raddoppia i posti che si autorizza a coprire, rispetto all’ipotesi che era venuta fuori dal “decretoScura”.
Altra è la preoccupazione e la riflessione che l’accompagna: in un Paese normale nel conflitto tra il Commissario e chi lo ha scelto possono solo esserci le dimissioni del Commissario. Ma la Calabria è la più anormale regione di un anormale Paese, per cui non sorprende il fatto che, in sostanza, Scura chieda le dimissioni dei ministri che lo hanno nominato.
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