L’unitarietà della ‘ndrangheta è dato ormai confermato dalla Cassazione, ma non c’è indagine che non metta in evidenza «un’accentuazione del carattere semi-verticistico» dell’organizzazione. Emerge in maniera prepotente a Reggio, ma è un dato che trova riscontro e continuità nelle indagini portate avanti dalla Dda di Catanzaro, oggi coordinata da Nicola Gratteri. Lo racconta anche la relazione annuale della Direzione nazionale antimafia.
ANCHE CROTONE FA PROVINCIA Per quanto riguarda il crotonese, «le dichiarazioni dei collaboratori più recenti e, soprattutto, le attività di intercettazione effettuate durante le indagini relative alla cosca Grande Aracri – sottolinea la Dna – postulano la sussistenza di un organismo sovraordinato, in grado di svolgere una sorta di coordinamento fra le famiglie di ‘ndrangheta più importanti, sovrintendendo alla gestione degli affari dislocati in ambiti territoriali che esorbitano le “competenze” delle singole cosche». Si tratta, spiegano i collaboratori e riporta la Dna, della “provincia” del locale di Cutro, con a capo i fratelli Grande Aracri, Nicolino ed Ernesto, e di cui fanno parte «gran parte degli esponenti apicali delle locali del territorio crotonese, in particolare quelle di Isola Capo Rizzuto, Belvedere Spinello, Petilia Policastro e San Leonardo di Cutro» e che aveva al proprio servizio anche importanti professionisti.
I PROFESSIONISTI DELL’INFEZIONE È il caso – sottolinea la Dna – dell’avvocato Giovanni Stranieri del foro di Roma, che «si è occupato, peraltro senza formale mandato difensivo, di importanti vicissitudini giudiziarie di appartenenti alla cosca, avvicinando soggetti gravitanti in ambienti giudiziari della Corte di Cassazione, svolgendo, al contempo, funzione di tramite tra associati e lo stesso capo cosca detenuto». Un uomo funzionale al clan Grande Aracri, come alla “provincia” del locale di Cutro, organismo in grado di dirimere i contrasti e organizzare affari che vanno ben oltre la Calabria.
DALLA CALABRIA ALL’EMILIA «La vera caratteristica di tale sodalizio – spiega infatti la Dna – è la sua radicata presenza in Emilia, nonché nel bresciano, nel basso veneto e, per come dimostrato da una recente indagine della Dda di Torino, in Piemonte territori ove, per come si dirà nel capitolo successivo, è riuscita ad assumere il controllo di svariate attività economiche, soprattutto nei settori dell’edilizia e dei trasporti».
ATTIVITÀ VARIEGATE In Calabria invece, segnala la Dna, «all’attività estorsiva praticata in vario modo in danno dei molti ed importanti villaggi turistici della costa ionica crotonese e catanzarese, si sia aggiunto il controllo di appalti aventi ad oggetto, la costruzione di parchi eolici e di strade, la raccolta dei rifiuti solidi urbani in numerosi comuni delle provincie di Crotone, Catanzaro e Cosenza, nonchè la gestione delle slot machines in Calabria e in Basilicata».
LA VERSATILITÀ DEI MANCUSO Anche nel vibonese, il potentissimo clan Mancuso di Limbadi, non si è fatto sfuggire l’importante settore dell’economia turistica nella zona costiera vibonese, finendo per monopolizzare tanto i villaggi turistici, come il trasporto marittimo verso le Eolie. Rami di business tradizionali per la ‘ndrangheta, ma che non hanno indotto i clan a tralasciare settori “alternativi. I Mancuso si sono rivelati in grado di mettere in piedi una vera e propria campagna di scavi archeologici, «alla successiva immissione sul mercato nazionale ed internazionale di reperti di ingente valore storico».
GLI IMPRENDITORI DEI CLAN La dinamica dei rapporti fra operatori economici e clan, afferma la procura nazionale, sono diversi «dall’immedesimazione dell’impresa nelle logiche della criminalità organizzata, allo sfruttamento del brand criminale da parte di imprese apparentemente estranee, che tuttavia traggono profitto dalla compartecipazione criminale. Per altro verso si assiste ad una interposizione, per così dire, più primitiva: le cosche dotano i propri familiari, indenni da pregiudizi penali, di aziende che poi controllano interi mercati». Ma il risultato è identico. «Sulla base delle indagini in corso – sintetizza la Dna – può dirsi che certamente proliferano le figure degli imprenditori compiacenti che si ingeriscono nei gangli economici essenziali e che, attraverso alcuni dei legami appena evidenziati con il crimine organizzato, riescono ad aumentare il proprio avviamento e la propria capacità di penetrazione nella realtà economica, non soltanto locale. La conseguenza inesorabile è una compressione del potere di iniziativa e della libera concorrenza con la creazione di mono o oligopoli economici che si fondano sul potere di intimidazione delle cosche».
E I POLITICI A SERVIZIO E se l’imprenditoria si dimostra duttile alle lusinghe della ‘ndrangheta, nulla di differente si può dire della politica. Sono innumerevoli gli amministratori di grandi e piccoli centri scoperti in rapporti con i clan. Ma di certo, l’indagine che ha fatto più scalpore «è l’indagine che ha riscontrato il condizionamento, da parte di esponenti della cosca cosentina Ruà- Lanzino- Patitucci delle elezioni amministrative locali, fornendo, in particolare, sostegno elettorale ai candidati per il rinnovo del consiglio comunale di Rende nelle consultazioni dal 1999 al 2011, nonché alle elezioni provinciali di Cosenza del 2009 e Regionali della Calabria del 2010.
LA CADUTA DEL PRINCIPE L’attività d’indagine ha riguardato, soprattutto, una serie di rapporti collusivi tra Sandro Principe, sindaco di Rende, altri amministratori pubblici che gravitavano intorno alla sua figura e gli esponenti del suddetto sodalizio». Alla medesima consorteria – ricorda la procura nazionale – «viene ricondotto il “condizionamento” fino al 2014, dell’attività del Dipartimento Agricoltura e Forestazione della Regione Calabria e del Comune di Acri per l’aggiudicazione di appalti pubblici nel settore della forestazione».
IL POLITICO BOSS Un’indagine che ha interessato anche l’ex assessore regionale Michele Trematerra, accusato di concorso esterno, l’ex sindaco di Acri, Luigi Maiorano, indagato per concussione, ma che ha portato anche all’arresto dell’ex consigliere comunale di Acri, Angelo Gencarelli, «individuato, addirittura, quale promotore e dirigente dell’articolazione territoriale di Acri della cosca “Lanzino/Ruà” e capace di “condizionare” – a favore di tale gruppo criminale – le decisioni amministrative del comune di Acri, del quale era consigliere, specialmente nel settore boschivo e del movimento terra».
CONTAMINAZIONE ISTITUZIONALE Un’infezione che non riguarda solo le amministrazioni, ma le istituzioni in generale. «L’arresto, sempre nel cosentino – aggiungono dalla Dna – per concorso esterno in associazione mafiosa ed altro, di due appartenenti alle forze dell’ordine (polizia stradale e carabinieri) e di un funzionario del Ministero del’Interno, confermano che il reticolato di relazioni della ndrangheta con rappresentati delle Istituzioni è, in Calabria, molto solido ed attuale».
a. c.
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