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La scia di sangue che porta a Decollatura

CATANZARO Nessuna ombra, nessuna attività sospetta sembra emergere dal passato di Gregorio Mezzatesta, 53 anni, dipendente delle Ferrovie della Calabria ucciso a colpi di pistola sabato mattina nella…

Pubblicato il: 24/06/2017 – 22:13
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La scia di sangue che porta a Decollatura

CATANZARO Nessuna ombra, nessuna attività sospetta sembra emergere dal passato di Gregorio Mezzatesta, 53 anni, dipendente delle Ferrovie della Calabria ucciso a colpi di pistola sabato mattina nella centralissima via Milano di Catanzaro. Sei colpi sono stati esplosi contro di lui, residente a Soveria Mannelli, cinque lo hanno colpito tra il collo e la testa. La notizia della morte del 53enne ha raggiunto in carcere il fratello della vittima, Domenico Mezzatesta e il nipote Giovanni (figlio di Domenico) che sono in attesa che riprenda a loro carico il processo d’Appello per l’omicidio di Francesco Iannazzo e Giovanni Vescio. Il 19 gennaio 2013, in un freddo e innevato pomeriggio, nel “Bar del Reventino” di Decollatura vengono uccisi a colpi di pistola Vescio e Iannazzo. Le telecamere riprendono la scena e inchiodano come esecutore materiale Domenico Mezzatesta, che si rende latitante. Sarà una latitanza lunga la sua, quasi due anni, durante la quale non mancheranno i colpi di scena. Il 20 marzo 2013, due mesi dopo avere fatto perdere le proprie tracce, Domenico Mezzatesta dal suo luogo segreto manda una lettera alla Gazzetta del Sud nella quale chiede «perdono alle famiglie dei due giovani che ho ucciso» e dice che suo figlio Giovanni non c’entra. Domenico scrive di avere perso la ragione.
L’azienda di infissi in alluminio del figlio era stata presa di mira dagli estorsioni che i Mezzatesta sospettavano fossero proprio Vescio, gravato da precedenti penali, e Iannazzo. «Hanno messo una bomba sotto la finestra del mio figlioletto più piccolo di 7 anni, per l’esplosione i vetri si sono conficcati nel cuscino mentre dormiva, a pochi centimetri dalla sua testa», scrive Domenico Mezzatesta per spiegare il suo stato d’animo. L’incontro al “Bar del Reventino” doveva essere chiarificatore ma si è trasformato in tragedia. La latitanza si interrompe il 14 ottobre 2014, quando l’uomo, accompagnato dal proprio legale, Francesco Pagliuso (ucciso il 10 agosto 2016 da mano ignota), si presenta dai carabinieri. Padre e figlio vengono condannati all’ergastolo sia in primo grado, in abbreviato, che in Appello. Sarà la sentenza di Cassazione che rivoluzionerà tutto. Annullati con rinvio gli ergastoli, la Suprema Corte esclude dalle aggravanti la premeditazione alleggerendo il carico accusatorio nei confronti dei due imputati. Oggi si è in attesa che il processo d’Appello abbia inizio. Sabato nel carcere i due detenuti sono stati raggiunti dalla notizia della brutale uccisione del congiunto. Oggi, dopo il brutale omicidio di Catanzaro, gli inquirenti rileggono in filigrana questi fatti per trovare – se c’è – un nesso. 

ale. tru.

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