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MANDAMENTO | La richiesta al boss: «Possiamo essere massoni?»

REGGIO CALABRIA L’indagine Mammasantissima da tempo lo ha svelato: le stanze ovattate della ‘ndrangheta impastata di massoneria sono appannaggio di pochi, selezionatissimi soggetti. E i loro rappor…

Pubblicato il: 05/07/2017 – 17:39
MANDAMENTO | La richiesta al boss: «Possiamo essere massoni?»

REGGIO CALABRIA L’indagine Mammasantissima da tempo lo ha svelato: le stanze ovattate della ‘ndrangheta impastata di massoneria sono appannaggio di pochi, selezionatissimi soggetti. E i loro rapporti, le loro relazioni, le loro regole sono segreti, anche per gli affiliati di rango più alto. Con buona pace dei legali che hanno tuonato in aula sostenendo «l’indimostrabilità» di tale teoria, adesso la conferma arriva. E da un boss universalmente riconosciuto come tale, Peppe Pelle. Uno di quelli, dicono gli investigatori, autorizzati a conoscere «il mondo di sopra e il mondo di sotto».

POSSIAMO ESSERE MASSONI? Indiscusso capo del suo clan e fra i più importanti boss di tutto il mandamento jonico, Pelle è un punto di riferimento per gli uomini di diversi clan che a lui sottopongono problemi, controversie e persino questioni di principio. È il caso di Vincenzo Pedullà, affiliato di rango della locale di Bianco che si rivolge a don Peppe Pelle per sciogliere un dubbio. Da altri aveva saputo che moltissimi appartenenti alla ‘ndrangheta «sono tutti nella massoneria quasi» e la cosa lo aveva lasciato perplesso. «La possono fare questa cosa qua? Per regola, si può fare?», chiede quasi stranito.

LORO SI COPRONO, NOI PAGHIAMO A sembrargli più curiosa è la prossimità di uomini dei clan e uomini delle istituzioni, tutti iscritti alle medesime logge. E non si tratta solo di una questione di principio. «Quello va e si siede sempre con giudici» dice e di questo c’è chi trae benefici sotto un profilo processuale. «Gli dicono pane-pane per voi, per me per altri. E a noi ci inculano sempre». Traduzione, la comune appartenenza massonica a detta di Pedullà avrebbe permesso a pochi ‘ndranghetisti di rango di tenersi al riparo da inchieste e processi, perché riuscivano a «giocare» con più «mazzi di carte».

CI SONO REGOLE, MA NON PER TUTTI Con l’abilità dello stratega che sa e sa di non poter tacere, ma anche di non poter parlare, Pelle risponde «compare Enzo, vi dico una cosa, per regola tante cose non si potevano fare e si fanno». Una risposta a metà, che allude, ma non dice. «Come regola, se uno deve attenersi alle regole, ci dovevano essere tante cose» sospira l’anziano boss, che poi – probabilmente volutamente si lascia sfuggire – certe volte uno le sorvola, perché deve sorvolarle». Insomma, come ha già chiarito il pentito Belnome, per alcuni affiliati di rango non è la ‘ndrangheta ad essere al servizio delle regole bensì esattamente il contrario, cioè sono le regole ad essere al servizio della ‘ndrangheta.

«NE ABBIAMO PORTATI “UOMINI”» Tuttavia, c’è chi nell’ala militare non gradisce. Magari perché da sempre legato ad un’ala militare che mai ha compreso, né concepito tali logiche, sebbene per anzianità e rango abbia nel tempo avuto accesso ad altri livelli di conoscenza. «A me, a me un amico, senza che facciamo nomi, mi ha detto “ma sapete è venuto quello vuole tirarlo” (farlo entrare in massoneria ndr). Eh! Ma insomma tu con quanti cazzi di spalle giri», racconta quasi disgustato a Pedullà. Ma poi riconosce «nella massoneria abbiamo portato “uomini”, compà … io me ne sono andato! Quando mi sono accorto che il pesce puzza dalla testa..». Ma molti, riservatissimi altri, la pensano diversamente.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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