«Sulla sanità tante domande ma poche risposte»
Metti 15 medici in più a Cosenza, qualcuno in aggiunta a Vibo Valentia, a Catanzaro, a Crotone e a Reggio Calabria. Quindi livella qua, compensa altrove, aggiusta i numeri e il gioco è fatto. Con una…

Metti 15 medici in più a Cosenza, qualcuno in aggiunta a Vibo Valentia, a Catanzaro, a Crotone e a Reggio Calabria. Quindi livella qua, compensa altrove, aggiusta i numeri e il gioco è fatto. Con una battuta sempre più in voga sui social, sarà dunque «tuttappostu»: avremo la sanità 2.0, la telemedicina di sesta generazione, gli operatori lung-gom-pa, le ambulanze guidate da Vettel e Raikkonen, l’elisoccorso di Capitan Harlock, la Medical Division del dottor Gregory House e altre novità impensabili, ben oltre quella, ormai nota, del(l’inesistente) tunnel catanzarese per la terapia intensiva cardiochirurgica.
Non è così, ahinoi, malgrado le proiezioni di politici ufficiali e di ufficiali politici. La sanità calabrese agonizza intanto per un motivo: nel 2016 risultavano 1.298 figure professionali in meno, per il rispetto della normativa europea sui turni e i riposi obbligatori. Inoltre dal 2010 ad oggi ne sono in pensione più di 4mila, sicché gli attuali provvedimenti commissariali sono insufficienti. Lo sanno a Roma, a Catanzaro e all’“Astronave”: sarebbe come disputare una partita di calcio con un portiere e un difensore azzoppato, una di pallavolo col solo centrale o una di basket col playmaker e basta. Sarebbe, ancora, come correre la Parigi-Dakar con appena un litro di benzina, come andare in Siberia in pantaloncini e mezze maniche o, peggio, come riempire il Pacifico con la classica damigiana.
Mentre prosegue il dibattito su patologie e cure della sanità nostrana, i reparti della Calabria scoppiano. Sembrano manicomi, coi sanitari in costante tensione, in supplica davanti a San Pio o alla Madonna della Salute, che non è il ministro Lorenzin.
Inciso: dal ’99 a oggi la sanità calabrese ha avuto 2 miliardi e passa in meno per la cura dei pazienti cronici, con il che è finita in Piano di rientro dal disavanzo sanitario; coperto, per analogo importo, con un mutuo trentennale col Tesoro e con l’assurdo impiego di fondi Fas. Le Regioni del Nord hanno invece ricevuto maggiori risorse, poiché il criterio vigente di ripartizione del Fondo sanitario si fonda sul calcolo della popolazione pesata, il quale penalizza il Sud, da cui si parte per interventi chirurgici e altre prestazioni specialistiche; spesso affidandosi alla fortuna, data la condizione di aeroporti, treni e collegamenti stradali.
Allora il Piano di rientro è stato un raggiro in piena regola. La proroga del commissariamento, poi, è avvenuta fuori legge, come la deputata Dalila Nesci ha dimostrato in sede parlamentare. Nel contesto c’è stato spazio per agevolare la nomina, ai vertici di aziende della sanità, di dirigenti responsabili di disavanzi o di simpatizzanti di partito senza i requisiti prescritti dalla normativa nazionale. Ma siamo in Calabria, la patria del diritto creativo, dei silenzi, dell’immobilismo e delle magie di palazzo.
Al quadro va aggiunto che continuano, in varie forme, i tagli alla sanità pubblica, frutto dei trattati legati al perverso sistema dell’euro. Così, con la scusa della corruzione e degli sprechi, che comunque sono mali da estirpare, bisogna destinare miliardi per coprire il debito pubblico generato dall’emissione della moneta dalla privata Bce e per foraggiare vampiresche banche di potere, che hanno quote e peso in Bankitalia.
Naturalmente la versione dominante è che in Calabria esistono la ‘ndrangheta, di certo molto attiva, e un apparato politico-amministrativo che alimenta clientele e brucia quattrini con la velocità degli incendi estivi. Perciò è sacrosanto imporre la gestione governativa del servizio sanitario, affidandola a burocrati che complichino, blocchino, recitino a soggetto ed eseguano le direttive romane.
In questo caos infernale non è mai stato risolto il problema del ruolo del policlinico dell’Università di Catanzaro, che la Regione paga da anni in assenza di valido protocollo d’intesa, né si è messo mano all’integrazione (di legge) tra pubblico e privato; col risultato che, per esempio, a Reggio Calabria è stato chiuso il punto nascita di Villa Aurora e in altri casi la distribuzione di posti letto alle cliniche ha seguito le stesse incomprensibili logiche.
Infine il Piano di rientro ha visto un aumento significativo del disavanzo, adesso vicino ai 100milioni, ma il sub-commissario – ora ex – Andrea Urbani è stato promosso alla guida della Programmazione sanitaria nazionale, mentre il commissario Massimo Scura è diventato una zavorra per la politica. Eppure i due hanno firmato gli stessi decreti, tranne il famoso 50 del 2017.
In questo girone dantesco, il consiglio regionale della Calabria si è caratterizzato per il mutismo più ostinato, salvo l’autosospensione (a scadenza) del consigliere Giuseppe Aieta, che in una celebre seduta sulla sanità definì il governatore Oliverio «filosofo dell’antica Grecia». Pitagorismo politico?
Se non bastasse, il presidente Oliverio, che parla per telegrammi col premier Gentiloni e con Lorenzin, non ha avuto la capacità, il coraggio e il fiuto politico di ordinare ai suoi uffici la dovuta pubblicazione del decreto 50/2017, illegittimamente impedita dal dipartimento Tutela della salute (articolazione tecnico-amministrativa della giunta regionale). Il governatore preferisce continuare a mendicare, da quasi tre anni, l’incarico di commissario, senza conoscere – o voler esercitare – il ruolo che in sanità un presidente dovrebbe svolgere anche in una regione commissariata. Quanti decreti commissariali ha impugnato? A quanti pagamenti regionali non dovuti, derivanti da decreti commissariali, si è opposto? Quante competenze di giunta si è fatto espropriare dagli “odiati” commissari, senza profferire una parola, tranne le solite inconcludenti urla del suo delegato alla Sanità? Quante direttive ha dato ai direttori generali – da lui stesso nominati – per impedire l’incremento del deficit che costituisce l’unico vero obiettivo di Roma per continuare a tenere la sanità calabrese in pugno, perpetuando ad libitum il piano di rientro? Perché subito dopo la sua elezione, del novembre 2014, Oliverio non ha presentato e rinegoziato con i Ministeri un nuovo piano di rientro, così come consentitogli dalla legge vigente, il che avrebbe fatto cessare automaticamente il regime commissariale? E, soprattutto, perché Oliverio continua a subire il grave comportamento omissivo del dipartimento Tutela della salute, articolazione tecnica, ripetiamo, della giunta regionale ?
Ce n’è abbastanza per un sussulto popolare. Perché le parole si perdono, ma i fatti rimangono. In tutta la loro drammaticità.
*consigliere nazionale Anaao-Assomed
**giornalista