REGGIO CALABRIA Per costruire un’economia bonificata dalle incursioni “dopanti” dei clan e dei loro imprenditori, per immaginare un futuro diverso, per iniziare a risalire la china prima che per la città sia troppo tardi, c’è una sola cosa che la Reggio Calabria civile debba fare: informarsi, capire, partecipare. Perché è arrivato il momento di scegliere da che parte stare, coscienti del rischio di dover partire da zero, o quasi. È questo il messaggio agrodolce mandato ieri dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dal pm Stefano Musolino nel corso dell’incontro su “Economia e legalità” organizzato dall’associazione “Reggio non tace”. Un appuntamento fisso ormai da anni, che ha riempito fin quasi a saturarlo il cortile degli Ottimati. E per ore ha tenuto inchiodate alle sedie più di duecentocinquanta persone, in larga parte tornate a casa forse con una consapevolezza: il tempo dell’ambiguità a Reggio Calabria è scaduto.
CURE E RIMEDI Dagli interventi dei due magistrati, il dato emerge chiaramente. Negli anni il lavoro della Dda è stato intenso. Sono stati presi provvedimenti anche «dolorosi» dicono le due toghe «ma necessari». Sotto tutti i punti di vista. «Nel lavoro che facciamo – dice il procuratore aggiunto Lombardo – abbiamo sempre tenuto in considerazione anche la ricaduta di determinate iniziative, di determinati provvedimenti perchè noi siamo per la cura non per l’intossicazione da farmaco. Non siamo per l’accanimento terapeutico quando la cura è sbagliata». Ma per ricostruire, sottolinea, bisogna essere in grado di debellare l’infezione.
QUESTIONE DI COSTITUZIONE «Noi – chiarisce – dobbiamo fare quello che la Costituzione prevede. Sappiamo che con un’amministrazione comunale che cade, un imprenditore mafioso che cade, un sistema che si sgretola ci sarà gente che dovrà soffrirne le conseguenze. Ma non possiamo farne a meno». Non solo per l’ormai nota obbligatorietà dell’azione penale, ma di giustizia. Nel senso più ampio del termine.
SCELTE COMPLICATE «Capita che un’azienda che sequestriamo – afferma Musolino – sia incapace di sopravvivere alle regole, cioè registrare e pagare i dipendenti, rispettare le norme in materia di igiene e sicurezza, pagare i fornitori con puntualità. Il ripristino della legalità determina, a volte e necessariamente, la crisi economica dell’azienda, ma questo – spiega il magistrato – non è detto che sia un male, perché eliminare un’azienda che non ha capacità di stare sul mercato, significa liberare spazi per altri soggetti che hanno voglia di fare questo lavoro in maniera diversa».
IL COEFFICIENTE “AMICO” E lo stesso vale per quei lavoratori che in una determinata azienda ci sono entrati grazie all’intervento dell’amico, del compare, del politico (interessato) di turno. «Prima di tutelare il lavoro a tutti i costi, noi abbiamo l’obbligo di capire come quel posto di lavoro è stato ottenuto. La Sogas, ad esempio, aveva numeri da hub internazionale grazie alle assunzioni interessate che nel tempo sono state fatte. Per questo bisogna valutare con attenzione, perché non possiamo far passare il messaggio secondo cui viene tutelato chi ha strappato un posto di lavoro grazie “all’amico”, mentre chi a causa di quei rapporti è stato tagliato fuori, viene abbandonato».
CONTROCULTURA MAFIOSA Argomento delicatissimo in un contesto territoriale piegato da disoccupazione, emigrazione e spesso rassegnazione alla mera sopravvivenza. Un quadro che ai clan fa molto comodo. «La ‘ndrangheta -sottolinea il pm Musolino – ha sempre avuto interesse a renderci poveri e disperati». Ed è in questa disperazione – spiega Lombardo – che radica la “controcultura” delle mafie, secondo cui è la magistratura, con i propri provvedimenti, a distruggere l’economia, il lavoro, la speranza. «Questa è alta mafia – sottolinea il procuratore aggiunto – È questa la mafia dei concetti, dei messaggi, non delle azioni pure e semplice». Una degenerazione che purtroppo non interessa semplicemente Reggio Calabria, perché le mafie, il loro denaro e i loro affari hanno un peso specifico mondiale.
IL PESO ECONOMICO DELLE MAFIE Lo dimostrano – argomenta Lombardo – studi economici statunitensi secondo cui il volume di affari delle mafie in Usa è pari al Pil italiano. Lo confermano studi elvetici, secondo cui le grandi crisi economiche internazionali hanno convertito le mafie nel migliore fornitore di liquidità per i maggiori istituti di credito mondiali. Ma – e forse questo è il vero problema – questa progressiva invasione era già nota a molti all’inizio degli anni Novanta. E quell’allarme è rimasto sostanzialmente inascoltato.
IL PIANO ECONOMICO DEI CLAN «Già nel 1990 – e ci sono gli atti della commissione parlamentare antimafia che lo certificano – si era coscienti del progetto economico delle mafie – ricorda Lombardo -. Un piano strutturato in tre fasi. Primo step, diventare clienti privilegiati, cioè in grado di fare versamenti superiori alla media, dei grandi istituti di credito. Secondo, diventare soci dei grandi istituti di credito. E dalle inchieste sappiamo che già negli anni Novanta c’erano grandi famiglie impegnate in interlocuzioni per diventare socie delle finanziarie che controllano le banche, cioè finanziatori dei finanziatori. Terzo, diventare banche. E questa è la situazione che dobbiamo fronteggiare. Quello che negli anni Novanta sembrava un piano di difficile realizzazione, è diventato realtà a cavallo delle grandi crisi».
STRUTTURA E SOVRASTRUTTURA Una progressiva degenerazione della struttura economica mondiale che ha avuto riflessi – cristallini – anche nella sovrastruttura culturale. Anche istituzionale. Solo così si spiega che nel calcolo del pil – non solo italiano, ma di recente anche europeo – siano entrati anche i dati relativi al volume di affari relativo a narcotraffico, prostituzione e contraffazione di marchi. «Questo – dice duro il procuratore aggiunto – è un messaggio dopante. In un Paese civile non si può raccontare che un’economia c’è anche se è fondata sull’illegalità». Anche perché tale messaggio è manna (legittimatoria) per i clan. «Le teste delle mafie vanno a cercare proprio questo. Questo dato permette loro di presentarsi di fronte alla base come un elemento legittimo e imprescindibile del sistema. Dunque insostituibile».
LA RICONQUISTA DEL PUBBLICO Cosa fare allora? «Per sconfiggere le mafie – dice Lombardo – la cultura non basta. Non basta andare a parlare con i ragazzi nelle scuole. Bisogna inceppare il meccanismo. È un problema economico, è un problema politico, è un problema sociale, è un problema giudiziario ed è ancora un problema normativo». Quindi ognuno deve fare la propria parte. I cittadini in primis, chiamati a recuperare autonomia nelle scelte.
CONTROPOTERE PRIVATO E PROTAGONISMO PUBBLICO Le mafie sono contropotere privato, spiega il procuratore aggiunto, che nel tempo ha avuto necessità e possibilità di sviluppare un rapporto circolare e permanente con il pubblico, dunque la politica, senza necessità di continue negoziazioni. Una dinamica che a Reggio Calabria ad esempio, ha avuto la propria massima espressione nelle municipalizzate, poi sciolte per mafia, divenute pietra angolare di un sistema economico, politico e relazionale. Quelle società sono state sciolte, i responsabili della generale struttura in cui si inserivano condannati o sotto processo, ma in città sulla stagione giudiziaria che ha portato a far luce su quel sistema, c’è ancora chi avanza dubbi. Ed è per questo che Lombardo dice «sono più preoccupato ora di quanto non fossi prima, perché manca una risposta».
NIENTE SUPPLENZE La magistratura ha fatto e sta facendo la propria parte, ma non può supplire né agli altri po
teri dello Stato – ricorda – né ai cittadini. «Qui non si tratta di sfumature, si tratta di fare scelte nette. Se ci sono cose che non vanno, ci sono gli strumenti democratici per cambiare anche senza attendere i tempi delle sentenze definitive. Quello che serve per decidere da tempo è ampiamente pubblico, adesso serve fare delle scelte». Su tutto.
TEMPO DI SCEGLIERE Perché – conclude – «tutte le volte che faremo scelte politiche di compromesso, tutte le volte che non pretenderemo chiarezza dal primo e dal secondo potere dello Stato, tutte le volte per risparmiare 50 centesimi sceglieremo un’attività commerciale ambigua, decideremo di alimentare determinati circuiti». Che al contrario, vanno messi sotto assedio dalla cittadinanza tutta, perché è la gente comune la prima a pagare il prezzo della tirannia delle mafie e adesso deve prendere in mano il proprio destino. «La salvezza – dice sulla stessa linea il pm Musolino – non verrà da un cavaliere in groppa ad un cavallo bianco, ma da chi tornerà a fare politica, ad interessarsi della polis, per immaginare futuri diversi. Questo dipende dalla voglia di ognuno di interrogare la propria coscienza e fare qualcosa di conseguenza». Prima che sia troppo tardi.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
x
x