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I «feedback da Scajo» prima della gara d’appalto milionaria

REGGIO CALABRIA Formalmente compaiono in aula tutti come testi a discarico, ma con le loro dichiarazioni in realtà non stanno facendo fare una gran figura all’ex ministro Claudio Scajola. Imputato …

Pubblicato il: 06/02/2018 – 8:09
I «feedback da Scajo» prima della gara d’appalto milionaria

REGGIO CALABRIA Formalmente compaiono in aula tutti come testi a discarico, ma con le loro dichiarazioni in realtà non stanno facendo fare una gran figura all’ex ministro Claudio Scajola. Imputato nel processo Breakfast insieme alla moglie di Amedeo Matacena, Chiara Rizzo, allo storico factotum dei coniugi, Martino Politi, e alla loro segretaria, Maria Grazia Fiordelisi, Scajola deve difendersi dall’accusa di aver aiutato Matacena, oggi latitante a Dubai, a sottrarsi ad una condanna definitiva per concorso esterno e ad occultare il suo immenso patrimonio.

«ERO IO NEL RISTORANTE DEL BOSS» Per questo i legali dell’ex ministro oggi hanno chiamato in aula suo fratello Alessandro, che si è limitato a dire che era lui e non Claudio uno dei commensali presenti alla cena organizzata al ristorante “Le Volte”, un tempo di proprietà di Giuseppe Marcianò, condannato in appello a 15 anni e 4 mesi nel processo “La Svolta”, e Ignazio Abrignani, oggi deputato del gruppo Misto, ma in passato prima consulente dei suoi ministeri, poi capo della segreteria politica di Scajola.

UN LAVORO PER UN’AMICA È a lui che l’ex ministro si è rivolto per far ottenere un lavoro a Chiara Rizzo, quando il marito era già latitante. Un rapporto di parentela di cui Abrignani, sostiene di essere stato totalmente all’oscuro. «Scajola – racconta in aula – mi ha chiesto un incontro e in quell’occasione mi disse “non essendo stato rieletto non posso dare una mano a tutti quelli che vorrei aiutare”. Mi disse che c’era una donna con figli in difficoltà economiche e mi chiese di darle una mano». Per questo avrebbe fatto a Rizzo – senza conoscerla, né incontrarla, né avere alcun contatto telefonico o telematico – un contratto legato a progetti relativi al turismo. «Ma l’ho pagato con il mio stipendio», ci tiene a precisare.

«CONTRATTO FITTIZIO» PER OBBLIGO MORALE Per un anno però, Abrignani avrebbe pagato a vuoto perché da Rizzo non ha mai ricevuto alcuna proposta o progetto. «Più volte ho sollecitato Claudio a organizzare un contatto, anche telefonico o per mail». Inutilmente, riferisce. Ma lui non è mai venuto meno a quello che la presidente del tribunale, Natina Pratticò, non esita a definire un contratto fittizio. «In effetti – riconosce – a me non serviva ma l’ho fatto per obbligo morale nei confronti di Scajola. Il rapporto era fra me e Claudio. E devo ammettere che il fatto che io fossi stato rieletto, mentre lui che mi aveva avviato alla politica fosse rimasto fuori ha pesato».

MATACENA, ILLUSTRE SCONOSCIUTO Insomma, quel contratto per Abrignani era quasi un omaggio del pupillo al proprio mentore, che tuttavia – sostiene – mai gli avrebbe detto che Rizzo era la moglie del loro ex collega di partito, condannato per concorso esterno. Anzi – sostiene Abrignani – nonostante la comune militanza in Forza Italia, lui nulla avrebbe saputo dei guai giudiziari di Matacena. Della cosa – afferma Abrignani – sarebbe venuto a conoscenza solo con l’arresto di Scajola, Rizzo e gli altri oggi imputati in Breakfast. «Certo avessi saputo la reale situazione – ha concluso il teste – non le avrei fatto nessun contratto. Ma quando l’ho scoperto non ho avuto modo di parlarne con Claudio perché all’epoca aveva altri pensieri – dice riferendosi alle settimane che l’ex ministro ha passato in carcere e ai domiciliari – e dopo non mi è sembrato il caso».

FINANZIAMENTI SOSPETTI Un altro che afferma aver scoperto «solo dopo» i guai giudiziari di Matacena è Cesare Fera, patron di uno dei colossi dell’eolico italiano e nel gennaio 2009 destinatario di un maxifinanziamento di 5,9 milioni di euro per il progetto “Freesun per la Liguria”, proprio quando a gestire i milionari investimenti per l’innovazione tecnologica legati al decreto Industria 2015 era l’ex ministro Claudio Scajola. Nulla di strano, almeno in teoria. Tuttavia a insospettire inquirenti e investigatori è stato un serrato scambio di email fra Fera, il suo consulente per la Sicilia, Alberto Acierno e Amedeo Matacena.

UN CONSULENTE INGOMBRANTE (E SEMISCONOSCIUTO) Ex deputato prima del Popolo delle Libertà, poi di Forza Italia, approdato nel 2001 al consiglio regionale siciliano grazie al listino dell’allora presidente Salvatore Cuffaro, prima di inciampare a fine 2009 in un’indagine per peculato, Acierno è stato per lungo tempo il consulente plenipotenziario per la Sicilia della Fera. Ma l’omonimo patron dell’azienda sembra cadere dalle nuvole quando il procuratore aggiunto gli fa notare che Acierno era all’epoca anche deputato dell’Ars. Allo stesso modo, nulla sostiene di sapere sui suoi rapporti con Matacena e sulla rete di relazioni del suo consulente.

«SCAJO? INTENDEVO IL MINISTERO» Eppure su quei contatti – ha fatto emergere Lombardo in aula – sembrava contarci se è vero che, proprio in prossimità della definizione della gara cui partecipava con il progetto Freesun, proprio Fera ha scritto ad Acierno una mail inequivocabile: «Hai più avuto feedback da Scajo?». Un’affermazione che per il procuratore aggiunto suppone non solo una dettagliata conoscenza della rete di Acierno, ma anche che tali relazioni erano già state ampiamente esplorate. Visibilmente nervoso e in difficoltà Fera nega. «Con “Scajo” intendevo genericamente il ministero», dice.

A PRANZO CON MATACENA «Scajola – afferma – non l’ho mai conosciuto, tanto meno Matacena». Anzi, riconosce poi, con l’ex parlamentare oggi latitante una sola volta ci è andato a pranzo, insieme ad Acierno, che glielo ha presentato, ed uno dei soci della Fera, Luca Salvi. Proprio quest’ultimo – testimoniano alcune email acquisite agli atti del procedimento – avrebbe messo in guardia Fera, dopo aver scoperto grazie ad una rapida ricerca su internet le vicissitudini giudiziarie dell’ospite di Acierno. Ma senza riuscire a spezzare l’entusiasmo del patron, che –  scriveva Salvi in una mail inviata agli altri soci dell’impresa – «ha annunciato trionfante che grazie a Matacena avremmo fatto grandi cose in Calabria e in Sicilia».

LA DURA LEGGE DELLE DATE Un messaggio (anche questo) che Fera sembra avere qualche difficoltà a spiegare. Si stringe nelle spalle, afferma di non riuscire a collocare temporalmente quella email, infine sostiene di non sapere «perché Salvi scriva quelle cose, magari – dice – aveva obiettivi trasversali». Tutte le sue denunce, come quelle di altri tre soci – afferma – sarebbero state dettate solo da diatribe aziendali, mirate a valorizzare il patrimonio azionario. Il procuratore aggiunto ascolta, lo guarda, lo incalza. E poi gli ricorda: «Ma allora come mai, se questi elementi sono emersi nel 2009, il rapporto con Acierno si risolve solo circa un anno dopo?». Una domanda alla quale Fera sembra far fatica a dare una risposta coerente.

LEGITTIMO IMPEDIMENTO PER BERLUSCONI La sua – faticosa – deposizione è stata l’ultima della giornata, ma l’istruttoria del processo Breakfast è lungi dall’essere conclusa. Alla sbarra si attendono ancora una ventina di testi a discarico, fra cui l’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Già citato inutilmente diverse volte e sempre “giustificato” per legittimo impedimento, l’ex premier ha fatto sapere tramite il suo legale che fino al 4 marzo non potrà essere presente in aula per «improcrastinabili impegni di campagna elettorale».

APPUNTAMENTO AL 26 MARZO La sua testimonianza è stata fissata per il prossimo 26 marzo quando di fronte ai giudici e al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo – dovrà spiegare come mai, su richiesta del suo ex ministro Scajola, abbia accettato di incontrare a palazzo Grazioli l’ex presidente libanese Amin Gemayel e il suo nipote acquisito, Vincenzo Speziali e di cosa si sia discusso. Un incontro tu
tto da chiarire. Per i magistrati, è stato proprio Speziali, che di recente ha patteggiato la pena di un anno, a prospettare a Scajola una comoda latitanza per Matacena in Libano. Esattamente dove, prima di essere arrestato, aveva trovato rifugio uno dei padri fondatori di Forza Italia, Marcello Dell’Utri.

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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