La «distruzione» di una Banca
LAMEZIA TERME Non è Banca Etruria ma il suo tracollo (prima il commissariamento e poi la liquidazione) ha creato sul territorio un grosso allarme. La Bcc della Sibaritide appartiene al novero degli i…

LAMEZIA TERME Non è Banca Etruria ma il suo tracollo (prima il commissariamento e poi la liquidazione) ha creato sul territorio un grosso allarme. La Bcc della Sibaritide appartiene al novero degli istituti di credito che non ce l’hanno fatta. Nel suo caso nonostante una storia importante, iniziata nel 1919 a Spezzano Albanese. Il fondatore, don Francesco Gullo, era un religioso ricordato ancora oggi con affetto nella cittadina arbereshe: la sua idea era quella di offrire al territorio uno strumento di crescita. Le generazioni, però passano. E così l’approccio gestionale. Nel 2010, al tempo del commissariamento, da Spezzano Albanese si erano levate voci preoccupate. Con il passare del tempo, però, il clamore è scemato. E la storia della Bcc è sparita dalle cronache. Non da quelle giudiziarie. Per ricostruirla, si può fare affidamento su una sentenza del Tribunale di Catanzaro – sezione speciale in materia di imprese. L’atto risale al maggio 2016. Ma è una mini guida a ciò che può accadere all’interno di una piccola banca. Che gestisce credito e, in fin dei conti, potere in territori nei quali i soldi possono decidere il destino di molti, vista la penuria di opportunità produttive. Se, da una parte, ci sono meccanismi che portano alla chiusura di una Bcc dai quali alcuni riescono a lucrare (ve li abbiamo raccontati qui), dall’altra ci sono situazioni che portano a seri squilibri finanziari. E, nel caso della banca della Sibaritide, a condanne pesanti per gli amministratori degli istituti di credito. Si parla di risarcimenti milionari per la mala gestio. Lo strumento sognato da don Gullo nel 1919 si è trasformato in una macchina mangia-soldi. Dal giudizio sono usciti sconfitti molti pezzi grossi della Bcc: c’è l’ex presidente Nicola Lucchetti (che ha guidato in passato la Camera di Commercio di Cosenza), condannato assieme a Francesco Graniti e Alessandro Cucci al risarcimento «fino alla concorrenza di 6,9 milioni di euro». Ci sono ex amministratori come Giuseppe Forte e Gennaro Bianco. E anche il presidente della Coldiretti di Rossano Ranieri Filippelli, condannato a un risarcimento «fino alla concorrenza di 5,5 milioni di euro». L’imprenditore è stato, tra l’altro, al centro di una recente polemica politica: una parte del Movimento Cinquestelle lo avrebbe voluto candidare nel collegio uninominale di Corigliano alla Camera dei deputati ma, dopo un acceso scontro interno, non se n’è fatto nulla.
I PRESTITI “ALLEGRI” La politica, comunque, in questa storia non c’entra. Non nelle motivazioni con le quali i giudici hanno giustificato le condanne al pagamento dei maxi risarcimenti. Inizia tutto nel 2009, quando un’ispezione effettuata da Bankitalia fa emergere «gravissime violazioni compiute dagli organi di amministrazione con conseguenze pregiudizievoli per la stessa sopravvivenza sul mercato» della Bcc. I problemi sono l’«erogazione e la gestione dei crediti» e l’«osservanza della normativa in tema di prevenzione e contrasto del riciclaggio». Problemi che si trascinavano dal 2006 senza che la banca modificasse la propria politica creditizia che l’aveva portata «anche a concedere facilitazioni creditizie in presenza di parere sfavorevole e contrario dell’Ufficio Fidi ovvero a omettere l’esercizio delle azioni di recupero ovvero a interromperle, in nome di disastrosi (e solo apparenti) accordi transattivi». Questi i motivi alla base della nomina del commissario che, una volta analizzati i conti, ha scoperto «un disavanzo economico complessivo stimato in oltre 31,5 milioni di euro e un deficit patrimoniale di oltre 17,7 milioni». È a partire da queste cifre che si decide la liquidazione coatta amministrativa dell’ex Cassa rurale e artigiana e partono le azioni di responsabilità.
Le accuse sono pesanti. Il commissario accusa i membri che si sono succeduti nel consiglio d’amministrazione «di aver gestito in modo anomalo e illegittimo la pressoché totalità delle posizioni di rischio». E, addirittura, al termine della prima ispezione, «lo stesso cda aveva proceduto ad ampliare i fidi relativi a posizioni debitorie classificate dagli ispettori a sofferenza e aveva spesso concesso nuove facilitazioni creditizie, nonostante il parere sfavorevole dell’Ufficio Fidi». L’accusa tranchant agli ex amministratori della banca era quella di aver «determinato, con la loro mala gestio, la distruzione integrale del patrimonio sociale». I membri del Collegio sindacale, invece, «non avevano mai evidenziato le diffuse carenze nel sistema dei controlli e le anomalie gestionali».
I GRUPPI PREFERITI DAL CDA È la storia di un crac finanziario annunciato da tempo. Da quando, cioè, «nonostante i rilievi mossi (dagli ispettori di Bankitalia, ndr) gli affidamenti» ad alcuni gruppi imprenditoriali «erano stati addirittura ampliati». Le censure erano servite a poco: il management della banca aveva continuato a distribuire prestiti ad alcuni gruppi imprenditoriali. E «le circostanze accertate e riferite dai funzionari ispettivi della Banca d’Italia – scrivono i giudici – sono state poi riscontrate e ribadite anche dal consulente tecnico d’ufficio, la cui relazione conferma quanto già verificato illo tempore dall’Autorità di vigilanza». E cioè che «i direttori generali e i membri del consiglio d’amministrazione “nell’ambito di una situazione del credito compromessa, hanno rinunciato, secondo un processo decisorio non formalizzato né ricostruibile, a far valere pretese creditorie della banca, sia accettando proposte transattive a saldo e stralcio per importi largamente inferiori al valore delle garanzie, sia interrompendo azioni esecutive in avanzato stadio, nonostante il mancato adempimento dei piani di rientro e talora il parere contrario del legale di fiducia”».
È il meccanismo perverso che aumenta il credito a disposizione degli imprenditori più vicini al management e prosciuga le casse, già provate, di un istituto di credito. Sono più di 10 i gruppi che hanno beneficiato delle “sviste” da parte del consiglio d’amministrazione e del Collegio sindacale. Per prestiti che vanno da 150mila a oltre un milione di euro. Non sono spiccioli per un territorio come quello della Sibaritide. Non sarà Banca Etruria, ma i danni per i risparmiatori sono gli stessi. (2 – continua)
Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it