Le elezioni del 4 marzo hanno sancito la sconfitta del Pd nazionale e quella, ancor più pesante, del Pd calabrese per le medesime ragioni. Attardarsi su analisi che scarichino le responsabilità sugli altri non è il senso di questo mio scritto: quindi parto da me e dal mio lavoro, quello di consigliere regionale.
Nel dato elettorale calabrese vi è una parte di responsabilità che afferisce all’atteggiamento più squisitamente nazionale, ossia quel presentarsi sempre con una certa arroganza che è tipica di chi irrita anche quando produce provvedimenti importanti ed epocali. Massimo Recalcati, psicanalista e fine intellettuale, incaricato da Renzi di seguire la scuola di formazione del Pd, un anno fa, al Lingotto di Torino, ci spiegò che la riforma della scuola aveva portato fuori dal precariato 100mila docenti ma che quei docenti erano arrabbiati con Renzi e con il Pd. Cioè, il popolo del Pd dopo molti investimenti nella scuola, si indignava col Pd. Cosa non ha funzionato? Recalcati affermava che il Pd non ha ascoltato, che ha trattato una materia così delicata attraverso i numeri invece che attraverso i nomi propri, perché la scuola non può essere licenziata col linguaggio dell’azienda. Ci si aspettava un abito tagliato su misura ed è arrivata una camicia di forza.
In Calabria è avvenuta una cosa simile: provvedimenti importanti adottati dalla giunta e dal Consiglio ma con una postura sbagliata, direbbe Recalcati. Non abbiamo parlato con i sindaci, né si poteva pretendere che vecchie liturgie vetero democristiane delle ultime ore potessero resuscitare l’entusiasmo negli amministratori locali che in questi anni ci hanno percepiti lontani dai loro problemi.
Non abbiamo umanizzato quanto di buono si stava compiendo perché non abbiamo ritenuto di spalancare le troppe porte blindate della Cittadella sempre assediata da fuochi di sbarramento che hanno rappresentato un muro al dialogo col governatore che in questa campagna elettorale, a dire il vero, ha provato a invertire il trend nazionale finendo, però, per aggravare quello regionale. Ma lo ha fatto con apprezzabile generosità, non risparmiandosi, e provando a mettere in campo – ma solo al 90° minuto – ciò che lo ha sempre contraddistinto, e cioè il dialogo e il confronto. Dopotutto, era giusto che desse fondo a tutte le sue energie, visto che le liste in Calabria sono state vergate di suo pugno. Ma il tempo non ha giocato a suo favore.
Ci rimane un anno e mezzo per non essere travolti anche nel voto delle prossime regionali. Le imprese aspettano da tempo gli esiti di bandi che non arrivano perché chiusi nel tritacarne di quella burocrazia simile a ciò che solo Roger Waters ha saputo rappresentare in The Wall attraverso la violenza di quelle immagini. I sindaci aspettano non convenzioni provvisorie ma provvedimenti esecutivi per appaltare i lavori; i parroci hanno perso la fiducia nella lunga attesa di ricevere aiuti nella piccola manutenzione dei pochi gioielli ben tenuti in Calabria che sono le nostre chiese; i giovani scappano perché i bandi loro rivolti sono su qualche tavolo dei dipartimenti tenuti ostaggio dai “signori del tempo perso”, i cittadini sono in attesa della rivoluzione sanitaria che non è mai arrivata. È questa la sfida che, per essere affrontata, ha bisogno di nuova linfa, senza più dinosauri, senza più lacci, senza yes-man ma solo recuperando la vecchia e infallibile prassi della condivisione e della partecipazione condita con una buona dose di severità verso chi rallenta come una schiuma frenante le buone idee che pure si sono messe in campo.
Questo ritrovato atteggiamento (ritrovato perché è stato vincente in tutta la sua carriera) dipenderà in maggior misura dal governatore visto che il Pd in Calabria in questi anni non ha avuto conduzione politica. Ma anche dai consiglieri regionali che devono abbandonare la prudente tattica e osare con un’adeguata strategia prima che la slavina ci travolga.
Senza farci condizionare da una improbabile giunta politica che pure è un’ambizione legittima ma che non risolve la vera sfida che ci attende. Parliamoci subito senza fare i temporeggiatori e senza evitare una discussione che sarà pure drammatica ma inevitabile. È il tempo della testa e non del fegato che pure è spappolato ma facciamolo subito insieme alla grande comunità democratica fatta di sindaci e amministratori, di dirigenti e simpatizzanti, di uomini e di donne inascoltati per troppo tempo.
*consigliere regionale Pd
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