I consiglieri bellicosi (ma solo a parole) non hanno più alibi
Da non credere, ancora non si sono spenti gli echi della disfatta elettorale, ed ecco che in casa Pd l’ineffabile governatore Gerardo Mario Oliverio regala ai suoi detrattori d a quanti ancora esitan…


Da non credere, ancora non si sono spenti gli echi della disfatta elettorale, ed ecco che in casa Pd l’ineffabile governatore Gerardo Mario Oliverio regala ai suoi detrattori d a quanti ancora esitano nel lasciare quel recinto di inaffidabili maneggioni che è il Pd calabrese nuove e solide argomentazioni.
La nomina di Forciniti, l’uomo sbagliato nel posto sbagliato al momento sbagliato, non è solo uno schiaffo a quel che resta della credibilità del monocolore Pd alla Regione Calabria, di più: è la dimostrazione che i consiglieri regionali eletti nel Pd sono dei pavidi ipocriti, inaffidabili quanto il governatore. Anzi, molto di più perché probabilmente un ruolo più dignitoso e meno dedito all’accattonaggio politico forse avrebbe potuto mitigare i guai di una gestione autoreferenziale, baronale, incolta e rancorosa come quella oggi rappresentata.
Guccione predica; Aieta impreca; Bevacqua protesta; Bova e Pasqua sono andati via; Irto e Neri si dicono mortificati; Tonino Scalzo è come il bollettino meteo di Cuneo: non pervenuto. Bellicosi nei comunicati stampa, ossequiosi nell’attività istituzionale.
E da oggi le loro responsabilità sono ancora più evidenti perché si ritrovano orfani di Ernesto Magorno. Il segretario regionale si è dimesso e, nel farlo, ha avviato le procedure per la convocazione del congresso che deve scegliere il suo successore. Sfilandosi dal perverso gioco di queste ultime settimane, Magorno fa mancare a tanti il più comodo degli alibi. Noi che non siamo mai stati teneri nei suoi confronti, non possiamo che evidenziare la generosità dispiegata da Magorno in molte circostanze: ha ingoiato rospi in quantità industriale pur di tenere insieme un partito destinato all’implosione. Ha accettato di caricarsi responsabilità che si annidavano a Roma. Ha difeso l’indifendibile perché qualche big (e non era Renzi) gli chiedeva di farlo. Un potente ibrido politico, feroce nei proclami e disinvolto nelle pratiche quotidiane, che “non poteva non sapere” come andavano le cose nel suo partito e nel suo governo regionale, ha preteso fino all’ultimo di lasciar fare Oliverio e non solo a Oliverio.
Adesso ci ritroviamo con un collezionista di macchine d’epoca alla guida del più nevralgico e delicato degli enti, posto il record europeo che la Calabria presenta sul fronte occupazionale.
E non è che l’assaggio, sentiti i nomi che circolano in vista di un rimpasto della giunta regionale e del reclutamento di nuovi direttori generali. Saldi di fine stagione, prebende e investiture da crepuscolo degli dei. Va bene così, a patto che si risparmino ai calabresi questi quotidiani patetici tentativi di distinguo. I reati di omissione, quando si protraggono nel tempo, sfociano nella complicità già abietta. Lo tengano presente i “morituri” del Pd calabrese.
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