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Lsu-lpu, anche il ministero dà ragione ai sindaci “ribelli”

I Comuni calabresi non potevano prorogare i contratti degli lsu-lpu senza aver prima definito un piano di stabilizzazione. Quello che sostenevano i pochi sindaci “ribelli” che non si sono piegati all…

Pubblicato il: 08/03/2018 – 16:35
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Lsu-lpu, anche il ministero dà ragione ai sindaci “ribelli”
Lsu-lpu, anche il ministero dà ragione ai sindaci “ribelli”

I Comuni calabresi non potevano prorogare i contratti degli lsu-lpu senza aver prima definito un piano di stabilizzazione. Quello che sostenevano i pochi sindaci “ribelli” che non si sono piegati alle pressioni della politica, quindi, era giusto e ora la conferma arriva anche dal ministero del Lavoro. Ai chiarimenti ricevuti qualche settimana fa dal dipartimento Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri si aggiungono infatti quelli, ancora più espliciti, inviati dalla direzione generale per l’Inclusione e le Politiche sociali del Ministero all’Ispettorato del lavoro di Vibo.
L’Ufficio vibonese ha interpellato Roma su impulso del Comune di Arena, che a sua volta aveva chiesto delucidazioni sul rinnovo dei contratti dei precari. E lo scorso 6 marzo il Ministero ha risposto in maniera inequivocabile: «La definizione del piano di stabilizzazione dei lavoratori in questione, da parte di ciascuna Amministrazione, è condizione necessaria – la dicitura è sottolineata e contrassegnata in neretto, ndr – per giustificare la possibilità di proroga e presupposto indispensabile per l’attivazione della procedura in deroga». Senza piano di stabilizzazione, dunque, non si poteva prorogare. Eppure molti sindaci calabresi lo hanno fatto – fidandosi delle sollecitazioni arrivate in primis dal governatore Mario Oliverio – senza però avere alcuna certezza di poter stabilizzare i precari alla fine del periodo di proroga. Il che li ha esposti ad eventuali, futuri contenziosi giudiziari. Ma non è tutto: qualcuno ha pure tentato di strumentalizzare il dramma dei precari puntando il dito contro i sindaci “ribelli” che, stando a quanto confermano i ministeri competenti, si sono solo rifiutati di emanare atti illegittimi. Un circolo vizioso per cui non sono esenti da responsabilità alcuni settori della politica e dei sindacati, che hanno sempre cercato di assolvere la Regione da ogni responsabilità. Anche su questo il Ministero del Lavoro mette un punto fermo: «Considerato che ad oggi la Regione Calabria, sebbene sollecitata dalla Direzione generale del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con nota del 9 febbraio 2018, non ha ancora dato riscontri in merito al suddetto piano di stabilizzazione, si comunica che la procedura in oggetto – cioè la proroga, ndr – non può essere attivata».
La Regione, insomma, ha spinto i sindaci a fare delle forzature che molti di loro, per legge, non avrebbero potuto fare. È chiaro che in tutta la vicenda gli anelli deboli della catena sono proprio i precari – sottoposti all’ormai consueto ricatto elettorale – e gli amministratori “ribelli”. Uno di loro, il sindaco di Arena Antonino Schinella, pur essendo di area Pd ha già criticato l’atteggiamento della Regione e, con in mano le carte arrivate da Roma, rivolge i suoi strali anche al sindacato: «La Cgil vibonese ha strumentalizzato i lavoratori dicendo loro che la colpa, se sono rimasti in un limbo giuridico, è dei sindaci, che invece si sono limitati a rispettare la legge. Hanno indirizzato la protesta contro di noi salvando la Regione, che è la vera responsabile di tutto ciò. I documenti del Ministero lo dimostrano al di là di ogni dubbio».

LA REPLICA DELLA CGIL La Cgil di Vibo, dal canto suo, replica così: «Non possiamo sottacere le dichiarazioni fatte da qualche amministratore sulla vertenza dei Lsu e Lpu, che ha visto lasciati senza contratto 47 lavoratori del Vibonese a fronte dei 4.500 su scala regionale avviati regolarmente alla stabilizzazione. Non ci stupisce e nè, tanto meno, ci scomoda la considerazione critica che si può legittimamente avere nei confronti della Cgil. Siamo un soggetto negoziale e conflittuale, che agisce e reagisce sui temi del lavoro e delle politiche sociali. Come tali, impegniamo la nostra azione sindacale, in un territorio fortemente compromesso, con forme spesso plateali di protesta e di mobilitazione. Dalle piazze ai tetti, fino alle tendopoli e con il coraggio di denunciare pubblicamente i fatti e le responsabilità, non prima di aver tentato ogni possibile dialogo e proposizione mediata». Il sindacato però non risponde «sulle questioni di merito» ma si limita a constatare che «dopo 20 anni di “servitù pubblica”, non è umanamente accettabile la pretesa che solo in 47 rimangano in utilizzo alla collettività senza contratto». «Quanto, invece, eccepiamo il ripiego offensivo sulla Cgil, che avrebbe avuto la colpa di attaccare i sindaci e non la regione. Perché, evidentemente, dovevamo condividere l’operato di quanti mandano a casa i lavoratori per “giustificato motivo”. Ma, soprattutto, ci indigniamo – prosegue il sindacato – per la mancanza di sensibilità verso i lavoratori, già fortemente provati da mesi, che continuano a pagare, fisicamente e psicologicamente, l’estenuante peso del contraditorio giuridico, insistito su cavilli interpretativi e nelle procedure amministrative, quasi a voler perseverare in un gioco al massacro sulla pelle dei lavoratori, rimasti senza reddito e senza tutele». Quindi, in conclusione, un colpo al cerchio e uno alla botte: «I comuni, coerentemente alle loro legittime interpretazioni, siano consequenziali a chiudere ogni interesse e rapporto di lavoro non finalizzato alla stabilizzazione. La Regione Calabria, nel rispetto dei suoi intendimenti per riconoscere equamente i diritti acquisiti da tutti i lavoratori, agisca tempestivamente nella risoluzione del problema».

Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it

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