Il voto di protesta e l'accordo che divide il Paese
Renzi si è dimesso, il popolo di centrosinistra è parte in subbuglio e parte in libera uscita. Molti di quelli che gli hanno negato il credito (quasi il 22% dalle ultime Europee e, poco meno, dal ref…


Renzi si è dimesso, il popolo di centrosinistra è parte in subbuglio e parte in libera uscita. Molti di quelli che gli hanno negato il credito (quasi il 22% dalle ultime Europee e, poco meno, dal referendum) avranno difficoltà a rientrare nei ranghi. Io la vedo dura, pesando la traiettoria negativa del consenso di chi conosco meglio. Dal Pci al Pds e ai Ds, una sofferta convergenza. Dall’Ulivo al Pd un sofferto abbandono. Dal partito di Renzi, una fuga per nulla sofferta, causa l’attrazione fatale dei M5S e Lega. Il problema di oggi è capire se e come la sinistra possa essere rianimata dopo avere patito un siffatto dissanguamento progressivo.
I LIMITI «ESTETICI» E DI CONTENUTO È mancato il voto pensato. Ciò in quanto c’era poco da pensare bene e tanto da pensare male. Pochi i programmi da eleggere a sintomi del rinnovamento, nonostante il conseguimento di buoni risultati da parte del Governo uscente. Quasi immodificata la squadra in campo – fatta salva qualche figura nota alla cronaca messa lì come il calendario delle forze dell’ordine dietro la scrivania dell’imprenditore quasi a volere dimostrare la sua fedeltà alla Repubblica, prescindendo se evasore incallito o meno – sempre gli stessi al lordo della Boschi. Lontane dai programmi le cose che contano (sanità, Mezzogiorno, unità sostanziale del Paese, garanzie reali per gli anziani, sicurezza, contenimento degli effetti negativi dell’immigrazione e, poi, tanto lavoro), con tendenza al rialzo delle balle che abbagliano. Quasi a volere gareggiare con gli avversari, su un terreno iniziato da tempo (con gli 80 euro, il bonus bebè, il progetto Garanzia giovani, eccetera), in un percorso ove a vincere si suppone vi fosse chi l’avrebbe detta più grossa, prescindendo dalle coperture. Dunque, grillini e leghisti – bravi a fare l’opposizione per cinque anni e a proporsi come alternativa ai partiti azienda e a quelli ad personam – a fare il pieno, tanto da proporsi di governare oggi insieme il Paese.
A determinare un tale risultato, soprattutto favorevole per la Lega, è stata la sottovalutazione del preaccordo firmato il 28 febbraio dal Governo, in una ottica suicida, con il Veneto, la Lombardia e (audite, audite!) l’Emilia-Romagna in tema di regionalismo differenziato, che ha fatto sì di realizzare un successo elettorale nelle prime due e un insuccesso del Pd nell’ultima. Un evento che ha diviso il Paese più di quanto lo abbia fatto e lo faccia il Po!
IL DOPO SCONFITTA Ebbene, in questo clima di vincitori e vinti, sono in pochi a parlare di politica e di programmi di governo. Nessuno sa, dunque, quali siano le politiche che i vincitori metteranno sul tavolo per redigere la «magna carta» sulla quale scrivere obiettivi, strumenti e coperture. Non solo. Si è dato il via a metodologie «separatiste», prodrome del tentativo di realizzare l’antico sogno leghista di separare dal Paese l’inseparabile.
Tutto questo concretizza l’abbandono dell’idea di Mezzogiorno come problema di riscatto nazionale. Il perfezionamento dei tre referendum celebrati lo scorso anno mettono in testa grandi e preoccupanti pensieri, nei confronti dei quali tutti i partiti hanno – come detto – glissato nell’andare alle urne. Meglio, tutti hanno preferito promettere «pesci» grandi piuttosto che impegnarsi in ragionamenti seri.
LE POLITICHE DEGLI IRRESPONSABILI E I DANNI CONSEGUENTI L’eredità è pesante e piena zeppa di «debiti sociali». Si stanno profilando tempi duri sul piano istituzionale e situazioni difficili da affrontare, specie per il sud del Paese. I forti chiederanno di sostituirsi allo Stato. I deboli si troveranno senza Stato, comunque. Un’Italia così è destinata a dividere gli italiani sui diritti fondamentali, quelli sociali in primis. Insomma, un bel regalo del governo Gentiloni, che così credeva di recuperare voti nelle regioni interessate (Veneto e Lombardia, presumendo, sbagliando, di consolidare la presenza in Emilia-Romagna). È accaduto l’esatto contrario!
Gli anzidetti preaccordi, tra non molto, si trasformeranno in Intese Stato-Regione interessata (art. 116, comma 3, Cost.) propedeutiche a generare sensibili cambiamenti, prodotti dalla sopraggiunta maggiore autonomia legislativa di queste tre Regioni in materie che nelle altre vedono co-interprete lo Stato.
Basti pensare a cosa accadrà alla sanità pubblica, a seguito dei preaccordi firmati da due Regioni simbolo del leghismo (Veneto e Lombardia) più esasperato e da una Regione (Emilia-Romagna) che fu di sinistra, oggi passata sotto l’egida del voto di protesta leghista.
Solo per fare alcuni esempi in tutte e tre le Regioni potranno: rimuovere i vincoli di spesa specifici nella gestione del personale dipendente (in Veneto anche dei convenzionati e degli accreditati contrattualizzati); definire il sistema di governance delle aziende sanitarie e ospedaliere, fermo restando però la disciplina nazionale di selezione dei manager; disporre della autonomia assoluta di determinazione delle compartecipazioni (ticket), delle remunerazioni e dei rimborsi; disciplinare l’istituzione e la gestione di fondi sanitari integrativi e chi più ne ha più ne metta.
A ben vedere si prefigura una concorrenza spietata tra le Regioni i cui malati emigrano e le Regioni che li importano, con un grave costo esclusivamente gravante sulle prime (tra queste ultime il record è della Calabria con 320 milioni di euro di mobilità passiva; tra le altre, il record appartiene alla Lombardia con oltre 600 milioni di mobilità attiva).
Ebbene, a fronte di tutto questo prossimo bailamme, la politica ha taciuto!
Bene ha fatto l’elettorato a protestare contro chi era abituato a sostenere i diritti dei ceti deboli, dei quali si è completamente dimenticato. Da qui, il consenso verso la protesta.
*Docente Unical