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«Attenti a Salvini»

di Antonino Mazza Laboccetta*

Pubblicato il: 02/07/2018 – 11:19
«Attenti a Salvini»

Il faticoso processo di elaborazione del quadro politico successivo alle elezioni del 4 marzo ha portato alla formazione di un governo dalla fisionomia singolare. Conte, mite presidente del Consiglio, presidiato da due guardiani, Salvini e Di Maio, nella posizione di vice-presidenti, che cumulano, l’uno, l’importante ruolo di ministro dell’Interno (storicamente nodale) e, l’altro, quello di ministro dello Sviluppo economico accorpato per l’occasione a quello di ministro del Lavoro (un superministero [forse per indicare rotte neo-corporativistiche di superamento del conflitto tra capitale e lavoro?]). A bilanciare l’asse del governo, per fortuna, due ministri di elevato spessore e di grande reputazione: l’economista Giovanni Tria all’Economia e il giurista Enzo Moavero Milanesi agli Affari esteri. Con le unghie spuntate – dopo il gran rifiuto del Presidente della Repubblica a tutti noto – Paolo Savona agli Affari europei. Posizione importante, certamente spendibile nel dibattito sulle prospettive di riforma dell’Unione europea e del suo spazio economico-monetario, ma lontana dalle leve che, stringendo o allargando i cordoni della borsa, orientano il comportamento dei mercati.
Governo del «cambiamento»
Questo l’asse fondamentale intorno a cui ruota l’azione del governo Conte. Azione orientata al «cambiamento». Perché il nostro è un governo che si è espressamente definito del «cambiamento». Se proviamo a dare un’occhiata alle circa sessanta pagine del «contratto di governo», siglato da Salvini e Di Maio, non possiamo che registrare un ampio ventaglio di misure. Sono, per l’appunto, le misure con cui il governo vuole portare l’Italia al tanto agognato cambiamento.
Vi sono misure largamente note al largo pubblico, come la flat tax, diretta a portare le aliquote al 15% e al 20% per persone fisiche, famiglie, autonomi e imprese, e il reddito di cittadinanza, diretto a sostenere attraverso un sostegno mensile di circa 800 euro per i disoccupati un percorso guidato di reinserimento nel mondo del lavoro. Note anche le misure con le quali il governo si propone di eliminare gli squilibri del sistema previdenziale introdotti dalla «legge Fornero», facilitando l’uscita dal mercato del lavoro a determinate categorie di lavoratori, introducendo il sistema della quota 41 e della quota 100, separando contabilmente la previdenza e l’assistenza e, infine, abbattendo vitalizi e pensioni d’oro. Invisi al governo, e al largo pubblico, anche i costi della politica, dei quali si prevede una rigorosa sforbiciata, anche attraverso un processo di riforme istituzionali e amministrative. Fortemente sentita nel Paese la battaglia per la legalità; e, quindi, alta è la soglia di attenzione del nuovo governo sul fronte securitario: lotta senza quartiere a corrotti, corruttori, mafiosi; Anac più forte; agente provocatore, o più cautamente detto, sotto copertura; legittima difesa senza troppe briglie; intercettazioni con meno paletti; inasprimento delle pene; semplificazione dei processi; riforma della prescrizione dei reati; costruzione di nuove carceri.
Meno note al largo pubblico le altre misure. Misure dirette al sostegno alle famiglie, di grande importanza perché dirette a conciliare il lavoro delle donne con gli impegni della famiglia, ad innalzare l’indennità di maternità, ad introdurre sgravi contributivi per le imprese che conservino alle donne il lavoro dopo la gravidanza; varie, inoltre, le forme di fiscalità di vantaggio per l’acquisto di prodotti per neonati e per infanti. Non mancano misure per rimborsare il pagamento degli asili nido e delle baby sitter, e quelle dirette a proteggere un’altra categoria di soggetti particolarmente debole – quella degli anziani – attraverso forme di sostegno all’assistenza domiciliare (badanti, ecc.).
Particolarmente attento il nuovo governo nei confronti delle piccole e medie imprese, tanto da prevedere una Banca per gli investimenti a loro destinata. Imprese, queste, che costituiscono l’ossatura del nostro Paese. Ad esse il «contratto» pentaleghista guarda in una logica finalizzata allo sviluppo unitario e omogeneo e, quindi, a superare finalmente lo storico divario tra nord e sud. Tanto attento al Sud che il contratto di governo gli ha dedicato un apposito ministero: il ministero del Sud, affidato a Barbara Lezzi, che affianca la sua azione di governo a quella del ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Erika Stefani.
Lo sviluppo economico è inestricabilmente legato alle politiche per il lavoro. Per tale ragione Di Maio ha tenuto per sé, come anticipato, le deleghe di entrambi i ministeri. Lo sviluppo delle imprese passa attraverso politiche di riduzione del cuneo fiscale, di eliminazione delle accise sul carburante e di semplificazione burocratica, ma, al tempo stesso, attraverso il miglioramento della qualità del lavoro (introduzione del salario minimo orario, superamento della precarietà, implementazione dei corsi di formazione, ecc.) e, infine, ma non ultima, attraverso la riforma dei centri per l’impiego, necessario vettore del reddito di cittadinanza. Traino per l’economia è il turismo: inizialmente si ventilava un ministero apposito. In ogni caso, l’abolizione della tassa di soggiorno, nelle prospettive del governo, ridarà fiato all’economia turistica dei nostri territori, insieme ad un’importante ridefinizione delle misure di decontribuzione delle imprese del settore che assumano giovani. Mutano anche le politiche agricole orientate alla tutela del made in Italy.
Un Paese moderno non può non pensare alla green-economy attraverso misure – pure previste nel «contratto» – intese a percorrere politiche di sostenibilità ambientale e di efficienza energetica. Necessario il ricorso alle fonti rinnovabili. In questo contesto, il governo si propone l’obiettivo «rifiuti zero» sostenendo politiche intese a promuovere le forme della c.d. economia circolare. Ed è sempre in questo contesto che il «contratto» pensa alla politica dei trasporti e delle infrastrutture. Terreno su cui pioverà una serie di incentivi per favorire l’utilizzo di motori ibridi ed elettrici destinati alla sostituzione dei motori diesel ed a benzina. A questo fine sono destinati il Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica ed il sostegno del car sharing elettrico. E come non pensare allo sviluppo delle reti ciclabili non solo urbane, ma anche extra-urbane e al potenziamento delle linee ferroviarie (forti perplessità – diciamo così – suscita però l’Alta Velocità Torino-Lione, tanto che nel «contratto» se ne prevede la revisione). Non manca nemmeno l’attenzione per i porti, ai quali saranno destinati investimenti importanti.
Sensibilissimo il nuovo governo rispetto alla sanità che costituisce, com’è a tutti noto, diritto del cittadino e interesse della collettività. Il contratto si preoccupa di implementare i fondi destinati al servizio sanitario pubblico, prevedendo misure intese a combattere corruzione, inefficienza, spreco, anche attraverso politiche che, salvaguardando l’autonomia regionale nell’organizzazione dei servizi sanitari, taglino però il cordone ombelicale tra politica e sanità. Intollerabili i tempi di attesa. E allo stesso modo intollerabili gli interessi che ruotano intorno alle aziende farmaceutiche. Sicché, anche su quest’ultimo terreno il nuovo governo introdurrà politiche diverse nell’interesse delle fasce più deboli dei cittadini. Talmente attento alle fasce deboli, il nuovo governo, da destinare alle disabilità un ministero: quella della Famiglia e della Disabilità. Non manca, allo scopo, la previsione di fondi per la disabilità e l’autosufficienza, anche attraverso misure intese ad innalzare l’indennità di invalidità civile e la pensione sociale e ad escludere i trattamenti previdenziali, assistenziali ed indennitari dal calcolo dell’Isee.
Volano di sviluppo è l’istruzione e la ricerca. Clima di smobilitazione della «buona scuola» si avverte nel governo, e non manca un incremento di risorse per le università e gli enti di ricerca al fine di favorire processi di innovazione. Anche su questo fronte il governo manifesta sensibilità nei confronti delle fasce deboli, ampliando la platea degli studenti beneficiari della «no-tax area».
Le forche caudine
Quello sin qui sintetizzato è il «contratto» siglato dalle forze politiche cui il popolo sovrano guarda con fiducia. Contratto poi servito su piatto d’argento a Conte, che l’ha, quindi, sottoposto alla fiducia del Parlamento.
L’elenco delle misure contenute nel contratto, com’è comprensibile, non è affatto neutro sul piano finanziario, né in termini di (minori) entrate né di (maggiori) spese: flat tax, reddito di cittadinanza, eliminazione delle accise, disinnesco dell’aumento dell’IVA, decontribuzioni a vario titolo, investimenti su diversi fronti, ecc. ecc.. Da sola, la flat tax comporta minori entrate, e presuppone per questo tagli alla spesa, che, però, le misure previste dal contratto vogliono in aumento per finanziare gli interventi a sostegno delle persone fisiche, delle famiglie, delle imprese.
Che il Paese galleggi su un debito pubblico che ondeggia – euro più, euro meno – sui 2.300 miliardi, è un dettaglio. «tutto va ben, madama la marchesa». Il «contratto» di governo, in fondo, ha pensato anche a questo, non solo attraverso la flat tax – una tassa che si autoalimenta perché, secondo le previsioni del contratto, genera più imponibile riconsegnando al sistema economico maggiore capacità di spesa e di investimento per effetto della minore tassazione –, ma anche attraverso la restituzione alle persone fisiche, alle famiglie e alle imprese di un clima di «pace fiscale» (qualcuno legge: condono).
La politica muscolare di Salvini
In attesa che il governo orienti le vele verso le magnifiche sorti vergate nero su bianco nel «contratto», il primo mese di governo registra la voce, di gran lunga più alta delle altre, di Salvini. Un crescendo di muscolari esternazioni con cui il vice-premier ministro degli Interni, da par suo, riesce abilmente a muovere quel terreno limaccioso del Paese fatto di paure, insicurezze, precarietà, resistenza fiscale, chiusure individualistiche, odio, nel quale la Lega (nazionale) trova humus, forza e vitalità.
Il nostro Paese ne ha avrà a lungo con Salvini. Perché Salvini è uno che sa abilmente stimolare e cavalcare il consenso in un mondo che ha perso punti di riferimento “solidi”. A differenza del neofita Di Maio, Salvini la politica l’ha fatta con la pancia a terra, girando in lungo e in largo i territori, scalando un partito che, diversamente dal Movimento 5Stelle, è strutturato e radicato. Un partito che da lunga pezza governa diverse amministrazioni territoriali. La cui storia inizia in modo via via sempre più dirompente da quando, nel 1987, Umberto Bossi fu eletto senatore della (nostra) Repubblica.
Potenti armi di “distrazione” di massa, le grida di Salvini. Perché gli servono a coprire con il loro suono assordante la voce di chi fatica, all’interno del governo, a mettere insieme il mirabolante programma racchiuso nel «contratto».
Il grande problema diventa così l’«invasione» degli stranieri. E intorno all’«invasione» degli stranieri il ministro degli Interni costruisce una narrativa che parla ai nazional-populismi d’Italia, e dell’Europa, dove all’asse che si va saldando tra i Paesi di Visegrád e dell’Austria di Kurz si aggiunge la tensione interna alla CSU bavarese. Spaventata dalla probabile virata a destra della Baviera nella prossima tornata elettorale, la CSU insegue le retoriche più retrive sulle politiche migratorie, minacciando così di rompere la storica alleanza con la consorella CDU.
Che il fenomeno migratorio sia un fatto epocale, è certo. Proprio per questo va prima studiato in tutta la sua complessità (ha dichiarato il presidente dell’Inps che «non saremmo in grado di pagare le pensioni» se chiudessimo le frontiere ai migranti. «Ogni anno gli stranieri versano otto miliardi di euro in contributi e ne prelevano tre»). Studiato, quindi, con serietà. E poi governato. E di certo non lo si governa, il fenomeno migratorio, con le retoriche scioviniste.
I conti con l’oste
La tonitruante voce di Salvini ha oscurato anche quella del duumviro Di Maio. Che per uscire faticosamente dall’angolo nel quale, in questo primo mese di governo, è stato cacciato dal suo “contraente” (e non “alleato”, come tiene a sottolineare il leader stellato), ha portato al governo il “decreto dignità”. Che però non l’ha approvato per mancanza di «coperture»; Di Maio le derubrica a mere «bollinature», tranquillizzando tutti sull’imminente approvazione.
Pare, però, che il decreto vada perdendo pezzi (niente spesometro, redditometro, niente regole sui rider e in parte talune regole del pacchetto lavoro). Si prospettano, peraltro, manovre correttive per 9 miliardi per il 2018 e 11 miliardi per il 2019. Le associazioni dei ceti produttivi e commerciali cominciano ad alzare gli scudi davanti ad alcune importanti misure del «contratto», in un momento in cui la stima di crescita del pil è data all’1,3% per il 2018 e all’1,1% per il 2019, in calo rispettivamente dello 0,2% e dello 0,1% a fronte delle precedenti stime. L’Europa concederà margini di flessibilità?
L’abbondante e gustosissima ordinazione contenuta nel «contratto» (il popolo sovrano italiano è, notoriamente, di buona forchetta) passa prima dall’oste: il silenzioso ma rispettabile e competente ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che a Montecitorio ha dichiarato espressamente che l’Italia prosegue nel «percorso di riduzione del debito pubblico».
Attenti a Salvini
Attenti a Salvini! Perché a Salvini il nodo della cravatta di ministro degli Interni sta molto stretto. È uno che ha sempre preferito il colletto sbottonato e la maglietta. È uomo di lotta e non di governo. Il ministero degli Interni è la più alta delle postazioni che potesse mai immaginare per condurre la sua perenne campagna elettorale.
Quando l’oste non servirà i pasti perché non ci saranno coperture, Salvini farà saltare il tavolo su cui ora è seduto con un piede dentro e uno fuori, addebitando la responsabilità alle istituzioni europee, ai mercati complottisti, alla globalizzazione selvaggia, all’invasione dello straniero che ruba il posto di lavoro agli italiani, alle imprese che delocalizzano. Si rivolgerà al popolo sovrano, che, fin d’ora – con regia ben studiata – non fa che vellicare quotidianamente e poi aizzare con le sue retoriche e la sua narrativa rancorose. E dirà: «non mi fanno governare».
Al popolo sovrano chiederà, quindi, di ricevere lo scettro del sovranismo all’esito di un processo di ricomposizione del quadro politico intorno alla Lega (nazionale). Al quale Salvini mira. E del quale si possono ora solo intravvedere alcuni contorni. Ma ce ne occuperemo in altra occasione.
Con quali conseguenze in una società in cui il ruolo dei corpi intermedi si va pericolosamente sfilacciando?

*docente dell’università “Mediterranea”

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