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«Come hanno trovato Marcello, possono risalire a ognuno di noi»

La moglie del pentito Girolamo Bruzzese a Repubblica: «Ho rivissuto l’incubo dell’assassinio di mio padre nel 2004. Il sistema di protezione ha delle falle, tutti sanno chi siamo»

Pubblicato il: 04/01/2019 – 10:11
«Come hanno trovato Marcello, possono risalire a ognuno di noi»

Era a messa e, quando è uscita, ha visto che aveva una serie di chiamate non risposte sul cellulare. Ha richiamato e l’hanno avvertita che Marcello Bruzzese aveva avuto un incidente. Appena arrivata sotto casa, però, ha capito tutto: «Ho rivissuto la scena del 9 febbraio 2004, quando a Rizziconi, in Calabria, uccisero mio padre per ritorsione nei confronti di mio marito che aveva iniziato a collaborare qualche mese prima. Inevitabilmente siamo tutti ripiombati nell’incubo di quegli anni». La moglie del collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese, fratello di Marcello, parla con Repubblica. E rivive gli attimi dell’agguato che ha sconvolto Pesaro a Natale e rivelato le falle (troppe) nel sistema di protezione dei testimoni. 
Come il cognato, la donna vive in una località protetta con il suo vero nome assieme ai propri figli, mentre suo marito – pentito dal 2003 – sta finendo di scontare la propria pena. È lei ad aver chiesto indietro la propria identità perché, per un cortocircuito burocratico, con il nome di copertura non avrebbe potuto ottenere la patente che le serve per lavorare.
«Purtroppo – racconta a Repubblica – il sistema ha delle lacune. Chi vive sotto copertura lo fa in case intestate al ministero degli Interni, non è possibile andare a curarsi nelle strutture pubbliche, e persino acquistare un’auto o mandare a scuola i ragazzi non è semplice. Alla fine si è costretti a tornare al vecchio nome e con quello scoprire dove viviamo e cosa facciamo è fin troppo semplice. Sanno che in quegli appartamenti vivono testimoni e collaboratori. Su internet poi c’è praticamente tutto. Credo che abbiano trovato Marcello piuttosto facilmente. Perché, quando è venuto a vivere vicino a noi, come conseguenza anche la sua famiglia è tornata al nome d’origine. Se le cose non cambieranno in fretta, così come hanno trovato lui, possono risalire ad ognuno di noi».
Adesso, lei e i suoi figli dovranno probabilmente ripartire da zero. Ma sente il peso del suo nome e di una situazione difficile da sostenere. «Quando hanno detto che siamo un peso e un rischio per la società, ho ripensato a mio padre ucciso in Calabria da innocente e mai riconosciuto vittima di mafia. Hanno anche affermato che Marcello volesse uscire dal programma di protezione, ma non è vero. Vede, a Pesaro siamo stati accolti bene per anni, ora però qualcuno inizia a dire che siamo ingombranti. Questo mi ha ferito molto, perché credo che noi tutti abbiamo diritto a una vita normale dopo aver pagato un prezzo che in tanti neppure immaginano». Un prezzo che tornerebbe a pagare: «Non ho rimpianti, sia io che Mimmo (Girolamo, ndr) rifaremmo la stessa scelta. Stare dalla parte della giustizia è l’unica cosa possibile per un futuro che sia migliore per tutti».

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