COSENZA «Nella macchina c’erano due donne, una guidava, l’altra era semidistesa sul sedile di dietro. Aveva qualcosa tra le gambe e mi chiedeva aiuto». Inizia così a raccontare la notte tra il 15 e il 16 maggio del 2012 Francesco Melingeni, operatore socio sanitario dell’ospedale di Corigliano. Una macchina era appena arrivata all’ingresso del pronto soccorso. «Ci voleva la barella, la ragazza sul sedile posteriore aveva partorito e tra i pantaloni e gli slip c’era un neonato». La donna è Stefania Russo, oggi, insieme all’allora medico di pronto soccorso Sergio Garasto, a Nunziatina Falcone e a Piero Andrea Zangaro risponde del reato di infanticidio. A formulare il capo d’accusa la Procura di Castrovillari. Finirono tra i 144 indagati dell’operazione “Medical Market” ed ora attendono gli esiti del giudizio di primo grado dinnanzi alla corte di Assise di Cosenza presieduta da Paola Lucenti con a latere Francesco Branda. Secondo gli uffici di Procura, gli imputati avrebbero causato la morte del feto simulando un sinistro stradale per incassare i soldi dell’assicurazione. «Confermo quanto detto nell’interrogatorio del 2012 – dice il testimone –. Quando presi il bambino non mi sporcai le mani. Si presentava pulito tanto è vero che anche nella macchina non c’era traccia di sangue o di altro liquido». È su questo che il pubblico ministero Valentina Draetta prova ad insistere, anche quando interroga l’infermiere di turno Silvestro Vincenzo. «La donna non era sporca e non aveva ferite – dice Silvestro –. Aveva il feto tra le gambe e lo ricordo bene perché difficilmente si vede una cosa del genere».
L’INDUZIONE ALL’ABORTO Una serie di testimoni (all’epoca tutti impiegati nel nosocomio di Corigliano) hanno raccontato nel corso dell’ultima udienza i ricordi di quella notte. Altri invece si sono soffermati su episodi che riguardano il dott. Garasto. «Mi hanno riferito come il dottore sia andato nel reparto di ginecologia e ostetricia chiedendo all’infermiera di turno di procurarsi dei pasticcini per festeggiare una nascita», spiega alla Corte Pierluigi Carino. Nel 2012 era il direttore dell’ospedale, ma nonostante siano trascorsi 7 anni ricorda bene l’episodio di cui fu informato. «Mi hanno raccontato che l’ostetrica che si era allontanata per procurarsi i dolci, al rientro aveva notato il dottor Garasto prendere un farmaco dal freezer. Si trattava di Cervidil che è di stretto utilizzo ospedaliero ed è un farmaco che ogni volta che viene preso deve essere scaricato in modo da sapere con precisione quanto ne viene usato». Il Cervidil per come emerso anche dalla deposizione della ginecologa Anna Santo (nel 2012 responsabile del reparto) serve a «far ammorbidire il collo dell’utero in modo tale da poter consentire di espellere il feto quando c’è una morte interna, oppure per fare dei controlli medici». La ginecologa, rispondendo alle domande della Corte, del pm e del collegio difensivo, ha spiegato come dell’utilizzo del farmaco non rimanga traccia e che «non si usa quando la donna è in stato di gravidanza perché potrebbe produrre un aborto spontaneo». Il tentativo di trafugare il Cervidil da parte di Sergio Garasto finì male, anche perché l’ostetrica prese il farmaco e lo riposizionò al suo posto.
LA CHIAMATA SOSPETTA PRIMA DELL’INCIDENTE Le dinamiche dell’incidente sono state chiarite dagli agenti della polizia stradale e dai militari dei carabinieri (qui la notizia). Ma ulteriori contorni investigativi sono stati spiegati anche dal commissario Giovanni Matalone comandante della polizia stradale di Corigliano. «L’allora Procura della Repubblica di Rossano ci aveva segnalato alcuni degli indagati come persone da controllare per determinati reati come truffe assicurative – spiega il commissario – per questo abbiamo disposto delle intercettazioni telefoniche per capire che tipo di comunicazioni facesse il dottor Garasto». Ed a squillare non è solo il telefono del camice bianco ma anche quello di Domenico Nigro, anche lui operatore socio sanitario al nosocomio di Corigliano. A contattarlo fu Nunziatina Falcone. «Io conoscevo il padre – spiega Nigro – lei l’avevo vista solo in circostanze formali. Qualche giorno prima del 15 marzo mi ha contattato telefonicamente per chiedermi come poteva abortire una sua amica visto che era incinta ma il figlio non era del marito». Al telefono Nunziatina Falcone non specifica se si trattasse di Stefania Russo, ma l’impiegato dell’ospedale ha raccontato di averle detto che dopo il terzo mese di gravidanza altro non poteva fare che abortire in Inghilterra. «La notte del 15 maggio – continua –ero di reperibilità e quando sono arrivato l’ho trovata in ospedale. Ma non ci siamo parlati, da quel pomeriggio non siamo più stati in contatto».
Michele Presta
m.presta@corrierecal.it
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