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Uno studio calabrese rivela: la cannabis legale non conviene alla ‘ndrangheta

Tra gli autori della ricerca c’è anche Vincenzo Carrieri, dell’Università di Catanzaro. Che auspica: «Sarebbe opportuno che le scelte politiche venissero fatte sulla base dei dati»

Pubblicato il: 11/05/2019 – 9:38
Uno studio calabrese rivela: la cannabis legale non conviene alla ‘ndrangheta

di Francesco Donnici
CATANZARO
Come ormai noto, lo scorso 9 maggio il Viminale ha emanato una direttiva che interviene sulla legge 242 del 2016 sulla coltivazione e la vendita della cannabis legale, prevedendo un irrigidimento dei controlli sui Growshop.
Il tema è presto diventato il “trend” della settimana come spesso avviene per i punti ad oggetto della lunga campagna elettorale di Matteo Salvini che, nella sua veste di ministro dell’Interno sostiene vi possano essere delle infiltrazioni della criminalità organizzata in queste attività, senza, però, porre a supporto di questa asserzione dei dati espliciti.
Al contempo, agli onori delle cronache è passato uno studio a marchio calabrese pubblicato su European Economic Review, una delle principali riviste scientifiche di economia su scala mondiale, basato su solidi dati empirici frutto di circa due anni di lavoro intenso e dettagliato.
Lo studio – condotto da Vincenzo Carrieri dell’Università Magna Grecia di Catanzaro con i ricercatori Leonardo Madio dell’ateneo di Louvain in Belgio e Francesco Principe dell’Erasmus School of Economics di Rotterdam – dimostra come nelle province dove sono stati aperti gli shop di cannabis legale, ci sarebbe stato un contrasto alla criminalità dato da una riduzione dei sequestri di cannabis illegale di circa il 14% ed hashish tra il 6 ed il 9%, oltre che da una riduzione degli arresti legati a reati di droga di circa il 3%.
LO STUDIO Come racconta lo stesso Carrieri al Corriere della Calabria, lo studio si riferisce all’anno successivo all’entrata in vigore della normativa che ha permesso dapprima la coltivazione della cannabis con basso contenuto di Thc – principio attivo che dà alla sostanza la connotazione di stupefacente laddove superi 0,6% – poi la vendita della stessa. 
E proprio da lì nasce la curiosità: «Salta all’occhio il fatto che non c’è stata una liberalizzazione del settore, bensì un vuoto normativo. La legge incentivava la coltivazione della canapa, ma, di fatto, non ha eliminato il divieto di produrre le infiorescenze dalle quali deriva poi la comune marijuana. Abbiamo così voluto analizzare gli effetti di questa sorta di liberalizzazione involontaria».
E come per i Paesi dove si è arrivati ad una liberalizzazione del mercato, anche in Italia si ha correlazione tra l’apertura degli shop e la riduzione dei numeri della criminalità. «Abbiamo incrociato i dati relativi a sequestri ed arresti per reati di droga con quelli dell’apertura di questi negozi. I dati sono stati raccolti su base provinciale ed a cadenza mensile, riscontrandosi una riduzione di sequestri ed arresti per droga nelle province dove sono stati aperti i Growshop».
Con specifico riguardo al territorio calabrese, lo studio presenta dei dati molto omogenei tra le diverse province, anche se a Reggio Calabria, molto prima rispetto a Cosenza e Catanzaro, questa innovazione normativa è stata “sfruttata”.
Uno studio che parrebbe aprire ad una effettiva liberalizzazione di questo mercato, ma che in realtà aspira ad una migliore regolamentazione: «Va premesso un discorso su costi e benefici. L’aspetto positivo, come dimostrato, è quello di poter contrastare il crimine organizzato e le mafie. Secondo le stime, infatti, se consideriamo il prezzo di mercato della cannabis illegale, si può parlare di una riduzione degli introiti intorno ai 200 milioni annui per la mafia che – secondo le stime dell’agenzia europea – rappresenta circa il 3% degli introiti fatti con la vendita della sola cannabis in Italia».
Dietro questo mercato si celano anche fattori di rischio: «A differenza che negli Stati Uniti, la vendita di cannabis legale, in Italia, non è proibita ai minori e non è necessaria una prescrizione medica. Stiamo conducendo un secondo studio che dimostra come nelle stesse zone dove vengono aperti Growshop siano calate anche le vendite di psicofarmaci. Va dunque regolamentato il mercato per capire se questo prodotto viene venduto per scopi terapeutici, di consumo o altri».
SULLA POSIZIONE DI SALVINI «Non ho una posizione netta su quanto dichiarato dal ministro dell’Interno – dice poi Carrieri – che, in tutta probabilità, è in possesso di alcuni dati che non conosciamo. Ciò che posso dire è che lo studio fa una valutazione sul breve periodo, mentre oggi le stime di contrasto alla criminalità potrebbero anche essere cresciute. Questo è l’unico studio fatto in Italia sul tema, mentre negli Usa ne sono stati fatti diversi che hanno attestato la convenienza in termini di contrasto alle associazioni a delinquere. In più va tenuto presente che stiamo parlando di un prodotto che non è stato pubblicizzato e che i dati sui quali ci siamo basati sono solo quelli relativi ai sequestri, quindi solo una parte rispetto a quelli disponibili. Questo per dire che le stime che otteniamo sono, nella maggiore delle ipotesi, conservative». A ciò si aggiungano anche i casi accertati – su tutti quello di Monterotondo di circa un anno fa – di incendi dolosi ad alcuni shop di cannabis che, secondo gli esecutori, intralciavano la loro attività illegale di spaccio.
Infine un auspicio: «Mi piacerebbe che le scelte politiche venissero fatte sulla base dei dati. Quello che auspico è che ci sia un’attenzione maggiore sul tema, ma soprattutto evidenze empiriche che possano supportare le tesi». (redazione@corrierecal.it)

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