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MALAPIANTA | Le mani su Porto Kaleo e lo sbaglio di Grande Aracri

Le intimidazioni all’imprenditore di Steccato di Cutro. I 2mila euro al mese per la guardiania al villaggio e i 5mila all’anno per le “cure termali”

Pubblicato il: 30/05/2019 – 8:00
MALAPIANTA | Le mani su Porto Kaleo e lo sbaglio di Grande Aracri

di Alessia Truzzolillo
CATANZARO Si era recato nel villaggio turistico Porto Kaleo, sulla costa ionica, a Steccato di Cutro, con «un esercito» e con la sua spregiudicatezza aveva esposto tutti a rischi importanti. I Mannolo questa leggerezza commessa dal boss di Cutro, Nicolino Grande Aracri, non la potevano proprio mandare giù. Era il 2012 quando Grande Aracri, il vertice delle cosche cutresi, accompagnato da 6/7 persone, si era recato nella struttura ricettiva. Da quella “visita” era scattata una denuncia da parte della famiglia Notarianni, gestore di Porto Kaleo, per un tentativo di estorsione da un milione e mezzo di euro.
A marzo 2013 Grande Aracri viene arrestato per estorsione aggravata dal metodo mafioso, condannato in primo grado con imputazione derubricata in minaccia aggravata. In secondo grado la Corte d’Appello di Catanzaro lo assolve.
Ma nel 2016 l’episodio ritorna sulla bocca di Alfonso Mannolo, capo dell’omonima cosca decapitata mercoledì dall’operazione “Malapianta” che ha portato all’arresto di 35 persone considerate appartenenti alla consorteria Mannolo-Trapasso-Zoffreo, egemone sul territorio di San Leonardo di Cutro.
«A noi… grazie a Nicola, no? (riferimento a Nicolino Grande Aracri), sono 4 anni che non si prende una lira».

L’ASTA PER PORTO KALEO In effetti, dal 2013 Giovanni Notarianni, gestore del resort, e vicepresidente di Federalberghi Calabria, aveva deciso di non essere più la gallina dalle uova d’oro che era stato per la cosca fin dal 2001, quando a un’asta giudiziaria si era aggiudicato Porto Kaleo nonostante Alfonso Mannolo avesse cercato di interferire già nel corso dell’asta fallimentare cercando di dissuadere i Notarianni (ossia Giovanni e sua madre) a parteciparvi.
All’epoca la madre di Giovanni Notarianni era legata sentimentalmente a Pasquale Barberio (non compare tra le 35 persone arrestate, ndr), imprenditore che aveva gestito il villaggio per parecchi anni, il quale, racconta lo stesso Notarianni, «rese chiaro a mia madre che non avrebbe mai dovuto intromettersi nella procedura di asta fallimentare… omissis .. l’estate del 1999 o del 2000, venne a Porto Kaleo… Barberio mostrandoci una pistola mi minacciò e intimò di astenermi dal prendere parte all’asta e aggiungendo che era appoggiato da gente importante che non accettava intromissioni in attività di loro interesse».
«È in questo periodo che entra in gioco la figura di Alfonso Mannolo –prosegue Notarianni – il quale in tutti i modi cercò di capire se mia madre aveva l’intenzione di partecipare all’asta. Disse apertamente che egli era in grado di monitorare l’asta e conoscere anticipatamente chi avesse partecipato in quanto diceva che lui controllava l’intera procedura.. omissis.. esplicitò di essere in grado di condizionare l’asta e nel caso di intromissioni da parte di terzi non graditi avrebbe saputo lui come fare per dissuaderli».
Notarianni partecipò, nonostante tutto, e questo fu l’inizio di una lunga serie di estorsioni, di pagamenti, di oboli e favori di vario genere che cominciò a elargire alla cosca capeggiata dai Mannolo. Innanzitutto avrebbe dovuto pagare 250mila euro “una tantum” che era la cifra pattuita prima dell’asta tra Mannolo e Barberio. Poi c’erano 2000 euro al mese di guardiania ai quali si aggiunsero 5000 euro all’anno «per pagare le proprie cure termali». È con questa tracotanza, quasi sbeffeggiante, che la cosca pretendeva il denaro.
TRE INTIMIDAZIONI PER RINCARARE LA DOSE E per fare sentire che il pericolo era reale e che il clan poteva agire in qualsiasi momento, nonostante la guardiania e tutte le richieste assecondate, non sono mancati in 16 anni gli atti intimidatori, tutti perpetrati con l’inizio della stagione estiva. A maggio 2003 viene dato fuoco al bar sulla spiaggia del villaggio. Un danno da 110mila euro. A maggio 2005 viene incendiato il corpo centrale della struttura turistica “Porto Kaleo”, comprendendo la sala ristorante, la cucina, le camere del primo piano, la hall e gli uffici amministrativi. Un danno da un milione di euro. «Mi fu sferrato l’attacco finale. La struttura devastata ad un mese dall’apertura…», racconta Notarianni ai magistrati della Dda di Catanzaro e agli uomini della Guardia di finanza di Crotone. «In seguito al danneggiamento perveniva la richiesta di aumento del costo della sicurezza», insomma, scrivono i magistrati nel fermo, le intimidazioni «erano funzionali al rincaro dell’estorsione». Infatti Alfonso Mannolo si era poi presentato col il fratello Mario per spiegare a Notarianni che il problema era la «poca sicurezza» e per stare tranquillo l’imprenditore avrebbe dovuto pagare 1000 euro al mese in più. «Lo schema era semplice ed efficace. Io a seguito dei danneggiamenti dovevo rivolgermi a loro. Non avevo alternative. L’espediente serviva ad estorcermi altro denaro», racconta Notarianni agli inquirenti.
L’ultimo danneggiamento arriva a marzo 2016: l’incendio del bar/ristorante del lido balneare. Danno totale, 400mila euro. Ma già all’epoca Notarianni aveva deciso di non pagare più. Cure termali, guardiania, l’assunzione di personale appartenente alla cosca, l’imposizione di comprare il caffè dal loro fornitore e perfino minacce di morte che richiedevano la protezione dei Mannolo – al modico prezzo di 50mila euro all’anno. E Giovanni Notarianni pagò perché in quel periodo, nel 2004, era stato assassinato Francesco Scerbo che si occupava della guardiania del villaggio Serene di Steccato di Cutro e la possibilità che la minaccia potesse concretizzarsi era reale.
Ma a dicembre 2012 Notarianni paga le ultime 2000 euro mensili e chiude i rapporti.
«NICOLA, SE VAI LÀ TI INGUAI» Nel 2016, dopo 4 anni all’asciutto, Alfonso Mannolo non se la può passare. E se la prende con quel gesto avventato e minaccioso del boss Grande Aracri di andare al villaggio con una nutrita scorta. Il fatto che nella conversazione Mannolo avesse poi tirato dentro anche Barberio, secondo gli investigatori «fugava ogni dubbio, in relazione al fatto che la conversazione, in atto, si riferiva al tentativo di estorsione nei confronti del villaggio Porto Kaleo». «… è un uomo di merda! – dice Mannolo – … gli ho detto. Non mi fare avere un colloquio con sto cornuto di Barberi… che te lo tratto male davanti a te”, gli ho detto che questo è un indegno… quello è un pezzo di …omissis …. e così è stato… “Nicò se vai là ti inguai…non ci andare! Se vuoi che ti inguai, vai” … ma io non ho saputo niente quando è andato là». Mannolo non digerisce il fatto che uno del calibro di Nicolino Grande Aracri abbia commesso una tale leggerezz: «Va bene, ma le cazzate uno come lui». Un’avventatezza che lo stesso boss si era reso conto di avere commesso: «Dopo che è andato è venuto da me – racconta Mannolo –, ha tirato un pugno sul tavolino: “Porca puttana”, ha detto… “Ho fatto una cazzata”». Mannolo aveva cercato di convincere Grande Aracri a desistere ma non c’era stato verso. Da quattro anni non ricavavano introiti da Porto Kaleo e non dare ascolto al vecchio Alfonso, classe ’38, era stata una mancanza di rispetto: «L’ha fatto. Peggio per lui. Non ha avuto neanche rispetto per me». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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