di Sergio Pelaia
VIBO VALENTIA Alcuni dettagli sono talmente agghiaccianti da far dubitare dell’opportunità di essere raccontati. Perché agghiacciante non è solo il fatto in sé, ma anche il contesto in cui è avvenuto l’omicidio di Francesco Vangeli, che un mese e mezzo prima di compiere 26 anni è stato attirato in una trappola, preso a fucilate e, quando ancora era agonizzante, chiuso in un sacco di plastica e gettato nel fiume Mesima, ai confini tra il Vibonese e la Piana di Gioia Tauro. Il suo corpo non è mai stato ritrovato, forse è arrivato in mare aperto, ma a nove mesi dalla sua ultima notte, quella del 9 ottobre 2018, i carabinieri e la Dda di Catanzaro ritengono di aver individuato i responsabili dell’ennesimo, terribile caso di lupara bianca avvenuto in provincia di Vibo (qui la notizia e qui altri dettagli).
IL CONTESTO Non è certo uno di quei delitti che in un desueto gergo giudiziario e giornalistico si definirebbe «passionale». No, quello di Francesco Vangeli è un omicidio di ‘ndrangheta. Perché è quello l’ambiente in cui è maturato. In questo contesto di degrado, in cui vivono molti ragazzi che abitano i paesi dell’hinterland di Vibo attraversati dalla statale 18, la quotidianità è fatta di piccole spavalderie, di ragazze “contese” come fossero oggetti desiderati ma inanimati, di linguaggi da malati di mafia mutuati da chi in certi ambienti è diventato grande, s’è fatto “uomo”. E di parecchia droga, che passa abbondante per le mani dei rampolli di ‘ndrangheta (che certe cose le toccano eccome) e delle loro cerchie di amici adulanti.
«LO SA CHE LO AMMAZZO SE PARLA» «Mezzo uomo», diceva Antonio Prostamo, accusato di omicidio aggravato dalle modalità mafiose e distruzione di cadavere, a Vangeli. «Ti starò sempre addosso», lo minacciava, perché lei, una ragazza ventenne, «è a mia». La “contesa” andava risolta in un solo modo, secondo il nipote di uno dei boss del clan Prostamo-Pititto-Tavella, una delle cosche satellite dei Mancuso di Limbadi: «Ci scanniamo». Prostamo ha 30 anni e lo chiamano “Ntòni ò Diavolo”. Sia lui che il fratello 34enne, Pino “Ciopane”, già in carcere e indagato per lo stesso delitto, sarebbero secondo gli inquirenti «al centro di una fiorente attività di spaccio» oltre che di «traffico di armi» e, attorno a loro, graviterebbero «numerosi soggetti pregiudicati».
Proprio nella casa dove vivono entrambi, poco più di un mese dopo la scomparsa di Vangeli, i due parlano con altri due amici di un fucile nascosto in un pozzo che non vogliono che venga ritrovato dai carabinieri. «Quello è un chiacchierone», dicono riferendosi a un altro ragazzo che potrebbe aver parlato troppo, e Antonio si lascia andare a una frase eloquente: «Quello non dice niente altrimenti lo sa che lo ammazzo se parla».
L’AUTORIZZAZIONE Anche la relazione che in tempi diversi hanno avuto con la ragazza “contesa” (indagata per non aver detto la verità su ciò che sapeva) non aveva creato certo una rivalità tra “pari”. Gli inquirenti sottolineano infatti un rapporto di «reverenza/gerarchia» tra Vangeli e Prostamo, tanto che a un certo punto il secondo pretende che sia proprio il primo ad accompagnare la 20enne a casa sua, dove poi sarebbe anche dovuto andare a prenderla per riaccompagnarla a casa. Lo stesso Vangeli qualche mese prima si era sentito in dovere di chiedere a Prostamo se fosse ancora «interessato» alla ragazza chiedendo quasi l’autorizzazione per tornare a frequentarla: «Ci stiamo risentendo di nuovo mi sembrava corretto dirtelo dato che c’è una certa amicizia… dimmi tu». Né mancano dei passaggi in cui la relazione della 20enne con Prostamo «sembra il frutto – si legge nel decreto di fermo – di una sorta di imposizione (colpisce l’espressione “il porco ha fatto il bastardo a metà mese”)». Espressione emblematica, perché un ulteriore, drammatico aspetto della vicenda sta nel fatto che di mezzo c’è una gravidanza, c’è la paternità di una bambina che oggi ha qualche mese e il cui futuro impone anche una certa prudenza nel racconto dei particolari di questa terribile storia.
LE ULTIME ORE Avrebbe compiuto 26 anni il 22 novembre, faceva l’artigiano – il fabbro, come il padre – e quella sera gli hanno chiesto di andare dai Prostamo (che erano ai domiciliari) per prendere le misure occorrenti per la realizzazione di un tavolo in ferro battuto. Francesco Vangeli ovviamente non si fidava, si era fatto accompagnare da un “amico” che in realtà era d’accordo coi suoi presunti aguzzini e di un altro aveva chiesto l’intercessione per avere un minimo di “garanzia.” Ma non è servito a niente, perché quella è stata la sua ultima sera: mamma Elsa Tavella non avrebbe più potuto abbracciare il suo Francesco. Uscito di casa alle 21, all’abitazione dei Prostamo a San Giovanni di Mileto sarebbe arrivato intorno alle 22,40 a bordo della Ford Fiesta della madre, ma il ragazzo che era andato lì con lui sarebbe stato subito riaccompagnato a casa. Quindi l’omicidio sarebbe avvenuto secondo gli inquirenti tra le 23 e le 23,40 all’interno dell’appartamento di Antonio Prostamo. Tra le 23,40 e i primi minuti dopo la mezzanotte, poi, il 30enne, assieme ad altri complici al momento ignoti, avrebbe violato gli arresti domiciliari per andare nei pressi del fiume Mesima alla guida della Fiesta di Vangeli, in cui il giovane a cui avevano sparato poco prima sarebbe stato rinchiuso per poi essere gettato in acqua ancora moribondo. Subito dopo l’auto sarebbe stata data alle fiamme e il presunto assassino recuperato dai complici e riportato a casa sua. Mentre la lupara bianca inghiottiva un’altra esistenza spezzata. Così, nel Vibonese, si muore prima ancora di arrivare a 26 anni (s.pelaia@corrierecal.it)
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