Che cosa si poteva aspettare il Paese da un soggetto, seppure ministro, come Salvini? Sono in tanti a pensare che, in un momento di “salvinismo” acuto, il ministro abbia deciso di mettere in scena il frutto del suo ripensamento e avanzare l’idea che tutto, o quasi, potesse ritornare come prima (e forse anche più di prima) con l’alleato di governo e con il primo ministro Conte che a suo avviso aveva osato contraddirlo fin oltre il dovuto. E così ha comunicato, urbi et orbi, che lo “scherzo” era finito e che l’alleanza con i 5 Stelle poteva continuare a condizione, sempre come “Lui” aveva deciso, che fosse Di Maio il nuovo premier. Lo ha fatto, secondo il suo cliché, senza esporsi in prima persona, dando mandato a Giorgetti di riferire ai 5 Stelle, aggiungendo che “Lui” aveva deciso che l’alleanza può continuare. Sicché, sciolti lacci e laccioli con il Pd, “Lui”, l’uomo che si è ritenuto patriarca d’Italia, avrebbe potuto riprendersi lo scettro e continuare ad emanare, come dicono alcuni magistrati, leggi farlocche con le quali combattere il “nemico” che continua a sfidare il Mediterraneo per trovare di che vivere in Europa.
Chissà come è rimasto il segretario della Lega, quando ha capito che il Movimento 5 Stelle non ha preso in considerazione la sua proposta, che l’“alleato” di Maio era stato persino sprezzante nella risposta. «Sui giornali sto leggendo solo fake news», ha detto ed ha rinviato tutto a quando i senatori si dovranno esprimere sul taglio dei parlamentari.
Accantonati Salvini, la Lega e il sovranismo, continua positivamente il dialogo tra il Movimento Cinque Stelle e il Partito democratico per concretizzare un accordo ampio realizzato su basi totalmente diverse rispetto al famigerato “contratto di governo” che diano sicurezza al Paese. In linea con gli italiani che si aspettano prima di tutto che la politica abiuri alle tattiche e faccia primeggiare i valori della democrazia e dell’antifascismo su cui si fonda la Costituzione, frutto delle doti morali e intellettuali degli italiani.
C’è da dire che in questa vicenda, come in poche altre occasioni, la fine del sistema politico è auspicata senza tanti patemi; questa volta persino con interesse, quasi costituisse l’antidoto all’incubo che si stava vivendo da quando si stava assistendo all’ennesimo scontro sull’autonomia differenziata e sulle grandi opere che, se realizzate, avrebbero rafforzato l’idea cara alla Lega e cioè che l’Italia finisce sul letto del Po; come se il Sud fosse stato sottratto – secondo la teoria dissacrante dei leghisti – all’Africa. Eppure a quell’uomo che veniva dal nulla è stato concesso soprattutto dagli abitanti del “profondo Sud” di trasformare in partito nazionale il “movimento” da lui rappresentato e di ottenere un sostegno insperabile come quello che ha avuto nelle recenti consultazioni per le Europee. In tali condizioni si è giunti all’8 agosto, data destinata ad essere ricordata dagli italiani. Nell’aula del Senato, nel pomeriggio di quel giorno, si è esaurita la forza del partito che rappresenta il popolo padano.
Gli errori, i malintesi, le inesattezze, le scorrettezze, la cantonate purtroppo si pagano. E si paga a caro prezzo anche quello che all’apparenza odora di bucato. E quello tentato martedì della scorsa settimana dal segretario della Lega è stato di quelli che non profumano.
Salvini, che qualche giorno prima aveva presentato una mozione di sfiducia contro il presidente Conte, ha proposto di votare il taglio dei 345 deputati proposto dai 5 Stelle ma con la condizione che subito dopo fosse fissata la data per il voto anticipato: la crisi per lui restava in essere così come la mozione di sfiducia a Conte. Ha ritenuto probabilmente di poter capitalizzare il successo ottenuto nelle elezioni per le europee e realizzare una maggioranza di ferro, magari per trascinare il Paese nel “sovranismo”. Ciò fa pensare che il segretario della Lega è attratto dalle cose complicate, quelle difficili da digerire. E, infatti, sono state indigeste anche per la Lega che oggi appare fortemente indebolita, come piombata nel più nero degli umori. Salvini è andato all’attacco dell’ex alleato pensando di sovrastarlo, ma senza calcolare, come invece è successo, che avrebbe reagito: i 5 Stelle hanno preso le distanze opportune e hanno guardato con interesse alla proposta maturata negli ambienti della segreteria del Partito democratico e in quella di “Liberi ed Uguali”.
Si è così sancita la sconfitta della strategia salviniana che si proponeva di trasformare il Paese secondo i dettami del “sovranismo”. Salvini ha visto fallire d’un fiato non solo il teorema, ma anche la credibilità politica che si era costruita raccattandola anche al Sud. Persino Giorgia Meloni non ha potuto far niente per salvarlo. Anzi lo ha criticato addossandogli la responsabilità di avere sottovalutato i rischi della crisi, dichiarata peraltro ad agosto con le Camere già chiuse per ferie.
Ma Salvini è fatto così! Impulsivo oltre ad essere “amante” delle divise, delle magliette, della guerra ai migranti, sprezzante del Parlamento al quale si è rifiutato di fornire spiegazioni circa lo scandalo dei “rubli”. Salvini è l’uomo delle provocazioni! E proprio per questo ha tentato di giocarsi l’ultima carta forse tirandola fuori da un mazzo taroccato.
Il segretario della Lega adesso appare sempre più in solitudine, come uno sposo abbandonato sull’altare, sembra lasciato solo anche dai suoi “testimoni”.
Alla famiglia dei 5 Stelle comunque non sembra vero di essere riuscita ad allontanarsi dal rischio di una crisi dal sapore acre della dittatura. Salvini, almeno per il momento, sembra che abbia finito le munizioni e non può far altro che sparare a salve, sia che si tratti delle navi delle Ong che trasportano migranti nel Mediterraneo, sia in Parlamento contro gli ex alleati e persino nei confronti dei suoi compagni d’avventura che sottolineano l’ennesimo flop, un passo nel vuoto questa volta fatale.
Intanto il Partito democratico non si sbilancia, vuol vederci chiaro prima di assumere iniziative e stando attento a non commettere errori lasciando che la crisi si riduca ad una “cretinata”, come dice Salvini. Sarebbe un errore marchiano: una cosa è pesare il risvolto di una alleanza, altra cosa sarebbe chiudere le porte ai 5 Stelle. Costituirebbe un errore fatale non solo per il Pd, ma anche per il Paese che, mai come adesso, ha bisogno di essere governato rimettendo al centro dell’agenda politica i suoi contenuti.
*giornalista
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