di Pablo Petrasso
CATANZARO “Cicciareju” Riitano – nomignolo locale e aderenze globali nel narcotraffico – ha vissuto come un fantasma per due anni e mezzo. Una latitanza hi-tech: niente bunker scavati nelle fondamenta di un villino sgarrupato, ma telefoni non intercettabili, spostamenti continui e uno sguardo vigile. Alla fine lo hanno fregato il lavoro incessante dei carabinieri del Ros e un tatuaggio. Lo osservavano da lontano nelle sue vacanze con famiglia a Giardini Naxos. Un teleobiettivo lo ha immortalato a torso nudo durante una cena consumata, per godere un po’ di refrigerio, sul balcone di casa. La foto che mostrava il grande tatuaggio sul braccio destro è corsa veloce tra Agrigento e Milano via whatsapp. Poi una conferma: «È lui». Il tentativo di fuga fallito è storia nota. Storia di come sia finita la latitanza dell’unico degli obiettivi sfuggiti all’inchiesta “Area 51”, firmata nel maggio 2017 dalla Dda di Milano. Era l’obiettivo più grosso, un signore della droga con base operativa ad Arluno, nel Milanese, e radici (anche familiari) piantate in Calabria. Riitano è un pezzo grosso dei narcos: cugino di Vincenzo Gallace, il capo della cosca catanzarese che aveva ordinato l’uccisione di Carmelo Novella, boss con aspirazioni autonomiste (voleva le locali lombarde indipendenti dalla casa madre calabrese). Da armiere, “Cicciareju” è diventato un abile broker della coca. Business sull’asse lombardo-calabro-colombiano, movimentazione di cifre a sei zeri e la classica affidabilità che i cartelli sudamericani riconoscono ai clan. E poi gli addentellati nei porti di passaggio – Barcellona, Utrecht, Francoforte, dove Riitano avrebbe aperto anche una pizzeria – e a Malpensa, per gestire l’importazione di coca nelle stive dei jet privati.
Per i magistrati di Milano, Riitano è il «capo, promotore e organizzatore» della propaggine lombarda del clan Gallace. Avrebbe partecipato a tutti gli incontri strategici e coordinato i viaggi dei corrieri in Colombia, intrapresi per importare coca e trasportare una parte del denaro – 150mila euro nel 2013 – necessario a pagare i fornitori. Nel 2016, avrebbe gestito la consegna di oltre 1 milione 250mila euro ai fornitori colombiani (con consegne tra Barcellona e l’Olanda): il denaro era stato caricato nel vano occulto di un’auto intercettata dalle forze dell’ordine a Casale Monferrato. Grossi traffici che il presunto boss guidava dalla sua casa-fortezza di Arluno. Impenetrabile come le comunicazioni tra picciotti. Che organizzavano il business criminale utilizzando Blackberry importati dal Canada ed evitando il ricordo ai social network: soltanto e-mail che rimbalzavano su server proxy per non essere rintracciabili. Voleva rimanere un fantasma, Riitano. Al punto che anche la sua famiglia era scomparsa da Arluno all’inizio della latitanza. Sulle sue tappe precedenti a quella siciliana stanno indagando i Ros. La patente e il passaporto che “Cicciareju” aveva con sé sono intestati a una persona inesistente residente nei pressi di Guardavalle. E sul passaporto, secondo quanto racconta Repubblica, c’erano i visti di viaggi in Colombia e Brasile. Timbri con date recenti: forse il boss di Arluno ha continuato a lavorare da narcobroker anche durante la latitanza. (p.petrasso@corrierecal.it)
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