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CAFFÈ EUROPE | Alla morte improvvisa e la leadership in politica

di Salvatore Scalzo

Pubblicato il: 30/08/2019 – 12:30
CAFFÈ EUROPE | Alla morte improvvisa e la leadership in politica

In pieno centro di Bruxelles, esattamente dall’altro lato strada rispetto ad uno degli ingressi della gallerie Reali Saint-Hubert, si trova una delle più rinomate brasserie/birrerie tipiche della città. Un posto con contorni e decorazioni di circa un secolo fa, dove la caratteristica è quel ronzio gonfio e indistinguibile degli avventori. E poi un nome magico “A la mort subite”. Che tradotto significa “Alla morte improvvisa”. Siccome anche una birra ha adottato questo nome (tra l’altro creata dal fondatore della brasserie), si potrebbe facilmente pensare che questo nome possa essere in qualche modo collegato alla percentuale alcoolica delle bevande servite o magari della birra stessa. Sarebbe effettivamente la spiegazione più ovvia e sensata. E invece non è cosi. La storia è diversa e ha a che fare con un gioco di dadi fiammingo, dove colui che perdeva veniva soprannominato “il morto”. I clienti della “Corte reale”, così era chiamata prima la birreria, erano per lo più clienti della Banca Nazionale del Belgio che durante l’attesa, bevevano una birra e facevano una partita, così per ammazzare il tempo. Quando si approssimava il loro turno allo sportello, decidevano di fare quella che chiameremmo in italiano una “mano veloce”, andando incontro appunto ad una “morte istantanea”.
So che il passaggio logico è ambizioso. Eppure, l’immagine di un avventore in fila, che in prossimità del proprio turno, decide di dare una mano veloce e darsi alla “morte improvvisa”, mi fa pensare, e molto, al carattere fatuo della leadership nella tumultuosa politica degli ultimi anni. Dove il tempo dell’ascesa cede immediatamente il passo al tempo della caduta. Nel magma fluido di un elettorato non ideologizzato e affezionato, generalmente disilluso, quanto mai volatile, abbiamo visto, soprattutto nel nostro paese, leaders o leadeships oggi trionfanti, umiliati dopo pochi mesi, ritornati nell’oblio dopo pochi anni. Abbiamo visto scalate al potere in democrazie mature realizzarsi e frantumarsi in pochi anni o addirittura in pochi mesi, come mai era successo in secoli e secoli della storia politica dell’umanità. Mi chiedo se questo dato abbia una tendenza destinata a crescere. È il ritmo vorticoso dei tempi a marcare le scelte dei leaders o è la loro scarsa qualità a segnare le loro cadute vorticose, le loro “morti improvvise”?. La risposta non è semplice, ma credo fortemente che il rapporto tra politica e tempo, per come si è venuto a determinare in questi anni, sia tutt’altro che virtuoso e foriero di sviluppi positivi per la società. Scrivevo qualche tempo addietro che “È spesso difficile vivere la politica, per come essa è, vale a dire un lento e tenace superamento delle difficoltà. Un nuovo agire politico si radica nella società attraverso le parole, i linguaggi, gli atti seminati negli anni. Non ha il risultato visivo, non ha l’immagine del traguardo, non ha l’esplosione liberatoria, come in una musica. In politica, nella vera politica, dopo un po’ di tempo, ti guardi attorno e indietro e ti accorgi che la società è cambiata”. Intendevo appunto mettere l’accento sul fatto che la politica e il cambiamento non sono mai questione di giorni o di mesi, ma di molti anni. Non esiste progetto politico che possa significare qualcosa di duraturo e vivo per una società se, sulla base senz’altro di una forza reale e visionaria, non gli venga concessa la possibilità di dispiegarsi per un importante numero di anni. È senz’altro vero che nell’era di internet, dei social networks, delle emails risposte nel giro di pochi minuti, il corpo elettorale abbia una tendenza a partorire ambizioni e attese a brevissima scadenza ed è soggetto a stimoli emozionali costanti. Ma dall’altra parte, leaders o leaderships, organizzazioni politiche, forgiano un sistema che troppo spesso asseconda queste tendenze, scegliendo di catturare consensi sulla base degli umori quotidiani, inseguire la vittoria a tutti i costi al primo appuntamento elettorale, aprire processi dopo pochi mesi dall’inizio di nuove stagioni. Ebbene questo sistema si avvita in una spirale dolorosa, impazzita, che se da un lato uccide sul nascere ogni tentativo di cambiamento, dall’altro non processa a dovere le progettualità mediocri, fragili, dannose. Io credo profondamente che questo circuito debba essere interrotto.
Bisogna restituire alla politica il tempo. Perché senza tempo non esiste progetto, non esiste ragione collettiva e non esiste cambiamento. Lo avverto come uno dei bisogni profondi della nostra società. E i leaders e le leaderships partitiche, hanno un ruolo fondamentale in tutto questo. Non ho lo spazio per un discorso più lungo e articolato. Ma mi sento di evidenziare quattro semplici virtù che sono fondamentali per leaders che vogliono portare un serio contributo alla politica al fine di recuperare i tempi che le appartengono.
Uno. Il leader politico fornisce continui e costanti esempi di condotta umana, personale e politica, secondo quelli che sono i suoi programmi e soprattutto i suoi valori di vita dichiarati. Rinuncia all’ossessione di rappresentare a tutti i costi e di ergersi a simbolo di alcunché. L’ossessione della rappresentanza coincide spesso con la rincorsa all’umore del momento. Ergersi a simbolo rischia di rendere l’immedesimazione più forte ed emozionale e di conseguenza più breve e fragile. È nella forza dell’esempio che si creano legami forti e bilanciati tra politica e cittadino e anche più stabili nel tempo. Ed è anche nell’esempio e nella rigorosa coerenza che risiede il senso di una politica che non insegue ma insegna.
Due. Il leader politico è un uomo che comunica la verità. La verità non è solo propedeutica all’esercizio sano dell’esempio e dell’insegnamento per come espresso nel punto precedente, ma è anche l’unico messaggio che crea fili saldi e riconoscibili in un tempo non necessariamente breve.
Tre. Il leader politico deve essere espressione di generosità. Coniugata al senso di non sentirsi mai indispensabile e innamorato di sé stesso, mettendosi costantemente in discussione. Il leader si mette a disposizione quando il tempo politico lo richiede e lascia a chi lo segue o, in qualche caso, a chi lo affianca, il tempo e lo spazio necessario per costruire le alternative a sé stesso. Sono squadre, generazioni, collettivi illuminati a imporre una visione, un progetto di società in contrapposizione alla forza vorticosa del tempo e dei tempi della politica. I singoli non creano niente.
Quattro. Infine una quarta e ultima virtù. Il silenzio operoso. Il leader politico rimane certamente un uomo del suo tempo. Deve usare, comunicare con costanza e regolarità attraverso tutti gli strumenti offerti dalla modernità. Pur tuttavia, occorre evitare, tanto per tornare alla nostra brasserie “A la mort subite” di partecipare a un ronzio gonfio e indistinguibile. Perché è solo con tempi di comunicazione meno tumultuosi e frenetici, fatti anche di silenzi e pause, che la parola politica recupera la sua essenza autorevole, duratura e trasformatrice.
Ognuno dei quattro punti non segna necessariamente il successo di un leader, soprattutto nel breve periodo. Pur tuttavia contraddistingue i leaders e le leaderships di cui questo tempo ha bisogno.
Arrivederci alla prossima puntata

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